Sull’eutanasia di “DJ Fabo”
Di Don Francesco Giordano 27/02/2017
Con la notizia della morte procurata di “DJ Fabo”, cogliamo l’occasione per ribadire la posizione della Chiesa sul tema dell’eutanasia, tema che oggi viene sfruttato dalla politica in maniera vergognosa. Ci sono molti casi simili di persone che continuano a vivere e a dare una forte testimonianza del grande valore della vita; esse portano con coraggio la loro croce senza cercare vie di fuga in “cliniche” in Svizzera, ripetendo mutatis mutandis quella perversa procedura che quando in Italia non c’era ancora il divorzio, ma in Svizzera sì, portava alcune coppie ad andare oltre Alpe a chiedere il divorzio. Basta ascoltare alcune testimonianze portate nella conferenza organizzata da Pro-Vita Onlus il 16 febbraio 2017 per avere alcuni esempi commoventi.
La buona morte è diversa dalla cosiddetta dolce morte, dalla cosiddetta eutanasia. Per un Cattolico coerente, la morte è buona quando è santa. Per un ateo, al contrario, la morte è buona quando non ci sono sofferenze. È proprio da questo valore ateo che nasce la cosiddetta “dolce morte”. Per un cristiano la morte è un transito; non è la fine come lo è per un ateo. Infatti, il cimitero non è una necropoli; non è una città di morti ma è un luogo di riposo in attesa della vita eterna, dell’unione tra l’anima e il corpo. Si parte anche da una concezione diversa dell’uomo stesso. L’uomo non è semplicemente un corpo, ma trova la sua giusta collocazione nell’orizzonte dell’eternità, l’horizon aeternitatis, come direbbe S. Tommaso d’Aquino nel De Potentia q. 3, a. 9. Ha un piede nel mondo materiale e l’altro nel mondo spirituale, ma la precedenza appartiene al mondo spirituale.
Oggi quando si parla di buona morte si pensa alla cosiddetta eutanasia. Il problema principale consiste nel fatto che tale morte sia procurata, sia in maniera attiva (eutanasia attiva diretta) che in maniera passiva (eutanasia attiva indiretta). Essa non è naturale perché è sempre presente la volontà di determinare il momento della morte. Non solo non è più semplicemente la morte senza dolore, ma è ora vista come parte di un diritto fondamentale. Fa parte di un’autodeterminazione assoluta comune nel pensiero odierno; è un’autodeterminazione che porta addirittura all’auto-annichilimento. Non ci sono veri paragoni nella storia. In antichità, anche il suicidio era legato ad una bella morte, non tanto ad una buona morte, nel senso che si riferiva ad una vita realizzata, come si vede nel caso di Seneca. Nella mentalità dell’epoca, un tale tipo di suicidio era considerato accettabile.
Nel nostro caso contemporaneo il suicidio è legato al concetto di autodeterminazione senza una causa finale. Tutto il discorso riguarda la causa efficiente. Se io posso farlo, devo essere libero di farlo, si pensa. Fa parte d’un senso di libertà sbagliato, come si vede nel caso famoso di Planned Parenthood vs. Casey quando si definisce la libertà in senso assoluto. La libertà, invece, deve rispettare le regole della natura. Non le può contraddire. Per esempio tra la potentia Dei absoluta e la potentia Dei ordinata si segue la seconda perché in essa è la saggezza di Dio. Lo stesso potere di Dio segue la logica della Sua saggezza; non ci può essere contraddizione in Dio. Se questo vale per Dio, quanto più deve, per analogia, valere per l’uomo! Alla radice dell’eutanasia non c’è solo una campagna internazionale che sarebbe la causa materiale, ma è presente una forma mentis simile a quello del dio Prometeo e del non serviam luciferino. Non ci si vuole piegare alla volontà divina, alla sofferenza della Croce. Non si vuole vedere il valore, il senso della sofferenza come offerta sacra, come sacrificio vero e proprio della creatura a Dio, il Creatore. Poi, come al solito, ci sono tanti soldi dietro queste iniziative. Quando ci sono delle battaglie in questo mondo machiavellico bisogna sempre domandarsi chi sta guadagnando. Purtroppo, oggi si serve il dio denaro più che Cristo, la Via, la Verità, la Vita.