Traversetolo, dare un nome e un funerale a quei neonati significa riconoscerli figli nostri
(Fonte)
di Marina Casini Bandini
È la loro esistenza, resa tangibile dalla loro visibilità – seppur di cadaverini – che merita onore, rispetto, accoglienza. Dobbiamo chiedergli perdono, strappati alla vita dalla furia degli adulti
I fatti di Traversolo, in provincia di Parma, sono noti. Doloroso ripetere le dinamiche e le responsabilità della morte inflitta ai due bambini appena nati, nati vivi, seppelliti a distanza l’uno dall’altro, nel giardino di casa, nella “terra fredda e nera” direbbe il Carducci. Un ritrovamento di cui si parla da giorni e che adesso – a parte la vicenda legale in corso con tutte le indagini del caso – è ammantato solo di calore, compassione, pietà, per quelle due creaturine innocenti e indifese. Due vite ricche di speranza e futuro, due “pezzi unici” nel mosaico dell’umanità, adesso impoverito. Ciascuno unico, ciascuno speciale, ciascuno irripetibile. La Pira in una sua riflessione, citando Seneca, scrive: «“La società si può rassomigliare ad una volta che certamente cadrebbe, qualora le pietre, e questo ne fa la solidità, non si reggessero a vicenda”».
Ogni essere umano è, quindi, una pietra essenziale all’edificazione e alla solidità di questa unica volta, e alla celerità e al progresso di questo unico dinamismo. Questo è talmente vero che per i piccoli bimbi neonati deceduti si pensa alle esequie, a dare loro sepoltura, a caratterizzarli con un nome, a provvedere alla registrazione anagrafica. Sono persone. Fanno parte della famiglia umana. Meritano di essere riconosciuti dei “nostri”, come figli o, almeno, come apparentati dalla comune umanità. Una società civile non può fare a meno di questo, perché i due piccoli bimbi, seppur appena usciti dal ventre materno, sono esistiti. È la loro esistenza, resa tangibile dalla loro visibilità – seppur quella di cadaverini – che merita onore, rispetto, accoglienza, ingresso nella società degli uomini che per loro si sta, appunto, mobilitando. La loro esistenza!
A questo punto come non allargare l’orizzonte e restare pensosi domandandoci: ma prima della nascita quei due bambini non esistevano? E se la loro esistenza fosse stata distrutta nel corso di quei nove mesi che precedono il parto, ci sarebbero state compassione, calore, pietà, la ricerca di un nome, mobilitazione per onorare quelle creature? So bene dove portano queste domande, ma non possiamo evitarle se la compassione è vera, se l’abbraccio nei confronti dei due neonati è autentico. La nascita non è l’inizio dell’esistenza dell’uomo, ma una tappa. Certo una tappa importante, ma non la cesura tra l’esserci e il non esserci. Ciascuno di noi, unico e inimitabile, ha iniziato a vivere molto prima sotto il cuore della mamma.
Qualcuno ha paragonato il big bang che ha dato origine all’immensità dell’universo con il big bang che ha dato origine a ogni essere umano. Un punto carico di una forza e di una energia sorprendenti; un punto che comprende già tutto ciò che per manifestarsi necessita solo di tempo e di spazio. Per l’essere umano – sempre persona e mai cosa; soggetto e mai oggetto – questo “big bang” è il concepimento, e lo spazio e il tempo della prima fase della vita sono quelli vissuti nel grembo materno come in un abbraccio reciproco tra madre e figlio. Questo orizzonte illumina il senso della vita umana che è l’amore.
Dobbiamo chiedere perdono ai due piccoli neonati strappati alla vita dalla furia degli adulti; dobbiamo chiedere perdono a tutti i bambini nati e non ancora nati che invece dell’amore hanno incontrato l’indifferenza degli adulti, le loro tracotanze e per i non ancora nati in particolare una sopraffazione camuffata da “diritto” e “libertà”.
Dobbiamo essere grati ai due piccoli neonati strappati alla vita dalla furia degli adulti, perché la loro esistenza è comunque un dono colmo di speranza, come è un dono colmo di speranza quella di tutti i bambini, nati e non ancora nati.
E per i “grandi” che non ce la fanno, che sono vittime essi stessi della loro impulsività malata, di ideologie di morte, dei condizionamenti che debilitano il coraggio dell’accoglienza, della fragilità, della solitudine che toglie le forze, della paura del futuro, della mancanza di fiducia e di autostima…. Per tutti noi chiediamo misericordia. Che il Giubileo ormai alle porte ci renda profondamente capaci di riconoscere la Speranza anche in ogni figlio che viene all’esistenza in quella esplosione di bellezza che il “big bang” del concepimento, perché tutti i bambini siano sempre accolti e amati.
Foto di copertina, Ansa