Difendere la verità, la vita e la famiglia: l’eredità di Benedetto XVI

Di Don Shenan J. Boquet (originale in inglese: www.hli.org )

Giovedì 5 gennaio, con un’umile cerimonia in Piazza San Pietro, il nostro Santo Padre Papa Francesco ha presieduto i Funerali del suo predecessore, Benedetto XVI.

Con la morte di Benedetto XVI, la Chiesa Cattolica ha perso uno dei più importanti difensori del suo insegnamento sulla vita e sulla famiglia che abbiamo mai visto.

La difesa della vita e della famiglia da parte di Benedetto

Papa Giovanni Paolo II è stato spesso definito “il papa della vita”. Questo perché promuovere l’insegnamento in difesa della vita della Chiesa Cattolica è stato uno degli aspetti centrali del suo papato. Tuttavia, dietro molti degli impegni pro-vita del Papa Santo troviamo la figura di sostegno del Cardinale Josef Ratzinger (poi Papa Benedetto XVI).

Durante il periodo in cui fu prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) sotto Papa Giovanni Paolo II, il Cardinale Ratzinger supervisionò la stesura e la pubblicazione di numerose importanti dichiarazioni e documenti didattici che sostenevano e difendevano lucidamente il perenne insegnamento della Chiesa sulla vita e sulla famiglia. Molte di queste dichiarazioni e documenti rimangono la parola definitiva su diverse difficili questioni morali riguardanti la vita e la famiglia.

Tra questi, la Donum vitae, che applica l’insegnamento della Chiesa a una serie di questioni bioetiche contemporanee e spinose; le “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali“, che riafferma l’insegnamento della Chiesa sulla natura del matrimonio; “Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica“, che ribadisce che i politici cattolici hanno il grave dovere morale di sostenere l’insegnamento della Chiesa sulla vita e sulla famiglia; e “Alcune considerazioni sulla risposta alle proposte legislative sulla non discriminazione delle persone omosessuali” e la “Lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali“, che delineano un piano dottrinale e pastorale per affrontare le questioni sempre più urgenti riguardanti la sessualità e la famiglia.

La fondamentale importanza che il Cardinale Ratzinger ha attribuito all’insegnamento della Chiesa sulla vita emerge in modo forte e chiaro in un discorso tenuto al Concistoro dei Cardinali nel 1991, intitolato “Il problema delle minacce alla vita umana”. Il Cardinale Ratzinger concluse quel discorso suggerendo la possibilità e delineando le caratteristiche ideali di un nuovo documento di insegnamento magisteriale che si sarebbe concentrato sulla difesa della vita umana.

“Soprattutto”, ha detto il futuro Papa, “si tratterebbe di riaffermare con gioia il messaggio sull’immenso valore di ogni essere umano, per quanto povero, debole o sofferente possa essere. La dichiarazione mostrerebbe come questo valore sia visto agli occhi dei filosofi, ma soprattutto agli occhi di Dio, come ci insegna la Rivelazione”.

Pochi anni dopo, Papa Giovanni Paolo II pubblicò l’Evangelium vitae, la sua grande opera a favore della vita, che rappresenta la dichiarazione definitiva delle posizioni della Chiesa a favore della vita. Possiamo essere certi che il Cardinale Ratzinger ha avuto un ruolo chiave nella stesura di quell’enciclica.

In altre parole, se Papa Giovanni Paolo II era il “Papa della vita”, il Cardinale Ratzinger era, per così dire, il suo complice, il suo braccio destro. È in gran parte grazie a lui che abbiamo non solo l’Evangelium vitae, ma molte delle dichiarazioni e dei documenti più chiari, fermi e convincenti che la Chiesa abbia mai prodotto sulle questioni che sono al centro della battaglia contemporanea tra la cultura della vita e la cultura della morte.

Il dono della Caritas in veritate

Confrontandosi con la mentalità della post-modernità, in cui la società sostiene che la verità sia solo il prodotto dei nostri sforzi, Papa Benedetto XVI ha spiegato, in uno dei suoi discorsi, appena eletto Papa, che avrebbe resistito a qualsiasi tentativo di “annacquare” l’insegnamento della Chiesa. Il Papa “non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo“, ha detto, sottolineando in particolare “l’inviolabilità della vita umana dal concepimento alla morte naturale”.

Da Papa, ha agito coerentemente con quanto enunciato. Più volte, Papa Benedetto XVI ha espresso il suo pieno sostegno al movimento pro-vita, spesso inviando messaggi accorati alle marce e agli eventi pro-vita che si svolgevano in tutto il mondo. Ovunque la vita umana o la famiglia fossero minacciate, egli ha sostenuto in modo proattivo gli attivisti pro-vita che lottavano per difendere e promuovere la Cultura della Vita.

Tra i suoi numerosi scritti, dichiarazioni e pubblicazioni, tuttavia, ho trovato la terza lettera enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, di fondamentale importanza per il movimento in difesa della vita nella sua promozione dell’autentico sviluppo e fioritura umana.

Quando si presta servizio nei Paesi in via di sviluppo, come fa Human Life International, ci si rende subito conto che esistono reti di gruppi no-profit e agenzie non governative che sostengono ideologie contrarie alla vita e alla famiglia, impegnate a promuovere la morale e le decadenti pratiche sessuali di stampo occidentale. Benedetto XVI si è opposto a questi punti di vista, ricordandoci che un Paese che accoglie queste idee non provoca conseguenze solo tra i suoi cittadini, ma anche nelle altre nazioni.

In questa enciclica, Benedetto XVI lamentava che in molte nazioni del primo mondo “le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista”. Ancora peggio, aggiunge, molte di queste nazioni stanno cercando attivamente “di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale”. 

In realtà, scrive in una sezione cruciale dell’enciclica, “l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”.

Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco. Coltivando l’apertura alla vita, i popoli ricchi possono comprendere meglio le necessità di quelli poveri, evitare di impiegare ingenti risorse economiche e intellettuali per soddisfare desideri egoistici tra i propri cittadini e promuovere, invece, azioni virtuose nella prospettiva di una produzione moralmente sana e solidale, nel rispetto del diritto fondamentale di ogni popolo e di ogni persona alla vita. (n. 28).

L’esempio del silenzio di Benedetto XVI

Negli ultimi nove anni, dopo il suo ritiro inaspettato, Benedetto XVI ha vissuto una vita di preghiera in un ex convento all’interno della Città del Vaticano. Secondo una recente intervista con il suo segretario privato, l’Arcivescovo Georg Gänswein, al momento del suo ritiro, Benedetto non si aspettava di vivere più di un anno. Invece, aveva quasi dieci anni di vita davanti a sé.

Con l’eccezione di una manciata di dichiarazioni, Benedetto ha per lo più mantenuto la promessa di trascorrere il suo tempo in pensione in un silenzio di preghiera. Negli ultimi dieci anni ci sono stati momenti in cui questo deve essere stato molto difficile. Come rivela l’Arcivescovo Gänswein nella recente intervista, Benedetto è stato profondamente colpito dalla recente decisione di limitare la forma straordinaria della Messa. Una delle decisioni più importanti di Benedetto come Papa era stata quella di eliminare le precedenti restrizioni, nella speranza che ciò potesse sanare alcune delle divisioni che avevano lacerato la Chiesa su questioni di liturgia. I messaggi confusi provenienti da alcune Accademie e Istituti Pontifici negli ultimi anni devono avergli causato particolare preoccupazione e delusione.

Eppure, il silenzio di Benedetto ci ricorda – come dice il titolo di uno dei libri del Cardinale Robert Sarah – “La forza del silenzio”.

Il nostro mondo è una cacofonia di voci di coloro che sono convinti che la loro voce sia “necessaria”. Se è vero che ci sono momenti in cui è importante parlare, molti dei più grandi maestri spirituali ci hanno detto che queste occasioni sono meno frequenti di quanto pensiamo. Spesso, parlando molto, non facciamo altro che aumentare il frastuono disorientante del mondo: tante voci arrabbiate e stridenti che si contendono l’attenzione. E in mezzo a questo frastuono, la voce “piccola e ferma” del Signore viene soffocata.

Non dobbiamo mai dimenticare che per trent’anni Cristo, Dio incarnato, è stato lui stesso quasi completamente in silenzio. L’infinita saggezza della Divinità, in carne e ossa, è rimasta in una piccola e insignificante città di un’insignificante zona periferica dell’Impero Romano, lavorando a fianco del suo padre adottivo. E poi, alla fine, in piedi davanti al Sinedrio, mentre i suoi nemici gli riversavano calunnie contro, rimase di nuovo in silenzio.

“Io vorrei aver taciuto molte più volte e non essermi trovato in mezzo agli uomini”, scrive Tommaso da Kempis ne L’imitazione di Cristo. Così, egli esorta i suoi lettori a “fuggire il più possibile dal tumulto degli uomini” e a “vegliare e pregare (Mt 26, 41), affinché il nostro tempo non passi senza frutto”.

Era naturale sentirsi confusi di fronte alle dimissioni improvvise e al prolungato ritiro di Benedetto XVI. Eppure, l’Arcivescovo Gänswein racconta di una recente conversazione con Benedetto, in cui il Papa emerito ha spiegato di aver “accettato” gli anni inaspettati di prosecuzione della vita, “e di aver cercato di fare ciò che avevo promesso: pregare, essere presente e soprattutto accompagnare il mio successore con la preghiera”.

Non sottovalutiamo il potere dell’esempio di Benedetto. La sua preghiera, la sua fiducia, la sua pace, la sua umiltà, la sua abnegazione ci ricordano di riporre tutta la nostra fiducia nel Signore, piuttosto che nei nostri sforzi umani.

Una fede semplice e grata

Poco dopo la morte di Benedetto XVI, il Vaticano ha reso noto il suo ultimo testamento spirituale. Per un uomo che aveva scritto e pubblicato milioni di parole, il testamento di Benedetto è straordinariamente breve e semplice.

“Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare”, inizia il testamento. Questa prima frase esprime il tema del resto del testo: la gratitudine.

Gratitudine per la madre e il padre; gratitudine per i fratelli e le sorelle; gratitudine per gli amici; gratitudine per le bellezze della sua patria, la Baviera, e di Roma e dell’Italia; gratitudine per i doni di grazia di cui Dio l’ha ricoperto. Gratitudine, soprattutto, per il dono della fede, a cui esorta i suoi lettori ad aggrapparsi di fronte ai cinici assalti del mondo, che pretende sempre trionfalmente di aver distrutto la fede.

“Quello che prima ho detto ai miei compatrioti, lo dico ora a tutti quelli che nella Chiesa sono stati affidati al mio servizio: rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere!”, scrive Benedetto. “Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo”.

Alla fine, naturalmente, questo è tutto ciò che Benedetto XVI ha sempre voluto dire con tutti quei milioni di parole dotte che ha profuso nel corso dei suoi decenni di servizio e di governo, affrontando tanti problemi, complessità e domande che il cristiano vive nel mondo moderno. Questo è il suo messaggio, ridotto alla sua essenza.

Come ha detto l’Arcivescovo Gänswein in quell’intervista, Benedetto “era un uomo profondamente convinto che nell’amore del Signore non si sbaglia mai, anche se umanamente si commettono molti errori. E questa convinzione gli dava pace e – si può dire – questa umiltà e anche questa chiarezza”. Gänswein ricorda che Benedetto diceva spesso che “la fede deve essere una fede semplice, non semplicistica, ma semplice. Perché tutte le grandi teorie, tutte le grandi teologie hanno il loro fondamento nella fede. E questo è e rimane l’unico nutrimento per sé stessi e anche per gli altri”.

Questo è il messaggio finale che Benedetto XVI ha voluto lasciarci: che dobbiamo aggrapparci saldamente alla croce di Cristo con una fede semplice e piena di speranza. Può sembrare che il mondo si accanisca contro di noi, ma non importa. Lo ha fatto anche contro Cristo. Piuttosto che amareggiarci o risentirci, ricorriamo, come Benedetto, al silenzio e alla preghiera, lasciando che il nostro cuore si riempia di gratitudine per le innumerevoli cose buone che Egli ci ha elargito, compreso il dono di essere chiamati a soffrire per la verità del suo Vangelo.

Alla fine, l’intero movimento pro-vita deve provare un’enorme gratitudine nei confronti di Benedetto XVI per la sua incrollabile difesa della sacralità della vita umana, dell’integrità della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e dell’insegnamento cristiano sulla morale sessuale. Benedetto ha camminato con noi ad ogni passo nel nostro servizio al Vangelo della Vita. È uno dei grandi papi, e certamente uno dei più grandi teologi, di tutti i tempi.

Vi prego di unirvi a me e alla famiglia globale di HLI nel ringraziare il nostro Dio Onnipotente per il dono della vita di Benedetto, per la sua dedizione nel proclamare la Buona Novella e per la sua volontà in grado di spostare le montagne. Preghiamo che questo fedele servitore possa ora condividere la gioia del suo Maestro.

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