Uscire in modo creativo dall’inverno demografico
Di Don Shenan J. Boquet
(Originale in Inglese)
Cosa vi viene in mente quando pensate all’Italia? A molti viene in mente il cibo (pasta, pizza), l’architettura (San Pietro, la Torre di Pisa), le bellezze naturali e le spiagge, o la presenza indiscutibile di migliaia di anni di storia.
Ma viene in mente anche qualcos’altro: l’immagine della famiglia italiana, grande rumorosa e felice, con zie e zii, nipoti e pronipoti a bizzeffe, tantissimi nipoti che corrono sotto i piedi e una nonna che dà da mangiare allegramente a tutta la folla mentre la guarda con orgoglio.
Purtroppo, però, tutti i dati suggeriscono che la famiglia italiana di questo tipo sta rapidamente diventando un ricordo del passato, come una di quelle ville in rovina arroccate sulle colline di città medievali abbandonate che si vedono percorrendo l’Italia centrale. Negli ultimi decenni, il tasso di natalità in Italia è semplicemente crollato, al punto che l’Italia ha ora uno dei tassi di natalità più bassi al mondo, con appena 1,27 figli nati in media per donna: molto al di sotto del livello di sostituzione di 2,1.
Il cambiamento radicale della demografia italiana è emerso nella pandemia di COVID, durante la quale l’Italia ha sofferto in modo particolare a causa dell’invecchiamento sproporzionato della popolazione. Nel 2020, il numero di decessi ha superato di gran lunga il numero di nascite nel Paese, portando a una riduzione della popolazione di quasi 400.000 persone. I primi dati suggeriscono che la pandemia abbia ulteriormente accelerato il già rapido calo del tasso di natalità, con un numero maggiore di matrimoni che finiscono nel divorzio e un numero minore di coppie che accolgono una nuova vita.
“Dov’è il nostro tesoro?”
Per me è una situazione straziante, soprattutto perché si tratta di una nazione che un tempo era rinomata per la sua solida cultura familiare, artistica e religiosa. C’è qualcosa di veramente tragico nel fatto che molti italiani, che sono abbastanza anziani da ricordare l’epoca delle grandi riunioni di famiglia, invecchino aspettando invano che il loro figlio unico, oppure i loro due figli, diano loro dei nipoti.
È una situazione tragica che anche il nostro Santo Padre, Papa Francesco, sembra conoscere molto bene. In un discorso pronunciato l’anno scorso a un incontro pensato per affrontare il problema demografico, si è lamentato che l’Italia ha oggi il tasso di natalità più basso d’Europa – un continente che in generale sta diventando noto “non più per la sua gloriosa storia, ma per la sua età avanzata”.
Questo crollo delle nascite, ha detto il Papa, sta diventando “un inverno sempre più rigido”.
Di fronte a questo inverno, il Santo Padre ha esortato i presenti in Vaticano a studiare soluzioni per ridare speranza all’Italia e alle altre nazioni che stanno affrontando il crollo demografico, e per rendere più facile alle famiglie nel mondo ad accogliere la vita. Ha anche esortato a ripensare un fondamentale riorientamento dei valori, chiedendo ai presenti di interrogarsi su quello che sta loro più a cuore.
“Dov’è il nostro tesoro, il tesoro della nostra società?” si è chiesto Papa Francesco.
“Nei figli o nelle finanze? Che cosa ci attrae, la famiglia o il fatturato? Ci dev’essere il coraggio di scegliere che cosa viene prima, perché lì si legherà il cuore. Il coraggio di scegliere la vita è creativo, perché non accumula o moltiplica quello che già esiste, ma si apre alla novità, alle sorprese: ogni vita umana è la vera novità, che non conosce un prima e un dopo nella storia. Noi tutti abbiamo ricevuto questo dono irripetibile e i talenti che abbiamo servono a tramandare, di generazione in generazione, il primo dono di Dio, il dono della vita”.[1]
È una frase bellissima.
A cosa diamo valore come società? Apprezziamo il grande dono della vita umana? Facciamo tesoro dell’incommensurabile grandezza di un’anima umana irripetibile? Vediamo nel volto di un bambino appena nato un segno di speranza e di contraddizione; un segno di accettazione del fatto che tutte le nostre angosce e preoccupazioni e ambizioni mondane sono in ultima analisi prive di significato; un segno del fatto che ciò che conta di più in questo mondo non è il denaro, né il potere, né la fama, né la produttività, ma piuttosto l’amore che un essere umano può avere per un altro, e l’amore che ogni essere umano può avere per il suo Creatore, e – cosa più meravigliosa di tutte – l’amore infinito che Dio ha per ogni essere umano?
O vediamo nel volto di un neonato solo un segno di sfida e delle difficoltà che ci attendono, di una minaccia alla nostra libertà e autonomia, di un prosciugamento del nostro libretto degli assegni e dei nostri risparmi, di vacanze perse e responsabilità indesiderate, di risorse bruciate, di paura, incertezza e frustrazione?
Dobbiamo recuperare, ha detto Papa Francesco nel suo discorso, la comprensione della vita essenzialmente come dono. “Ogni dono si riceve, e la vita è il primo dono che ciascuno ha ricevuto”, ha affermato.
“E un figlio è il dono più grande per tutti e viene prima di tutto. A un figlio, a ogni figlio si lega questa parola: prima. Come un figlio viene atteso e viene amato prima che venga alla luce, così dobbiamo mettere prima i figli se vogliamo rivedere la luce dopo il lungo inverno. Invece «la mancanza di figli, che provoca un invecchiamento della popolazione, afferma implicitamente che tutto finisce con noi, che contano solo i nostri interessi individuali» (Fratelli tutti, 19). Abbiamo dimenticato il primato del dono – il primato del dono! –, codice sorgente del vivere comune”.
Sorprendentemente – ha osservato il Santo Padre – questa perdita del senso del dono è avvenuta soprattutto “nelle società più agiate, più consumiste”. Dove c’è più ricchezza e comodità, sembra che “spesso c’è più indifferenza e meno solidarietà, più chiusura e meno generosità”.
È vero che viviamo in un mondo con molte incertezze. Eppure, perché è proprio nelle nazioni più ricche, dove la povertà assoluta – quella che porta alla fame e alla morte – è stata quasi sradicata, che i giovani scelgono consapevolmente di non mettere al mondo una nuova vita? Questa è la realtà rivelata da un numero crescente di sondaggi, come questo di Pew Research dello scorso novembre, che ha rilevato che ben il 44% di persone senza figli di età compresa tra i 18 e i 49 anni afferma che è improbabile di averne un giorno. Solo il 26% degli intervistati in questa fascia d’età ha dichiarato che è “molto probabile” averne.
Molti giovani stanno invece rivolgendo le loro attenzioni agli animali domestici, che vengono consapevolmente accolti come un surrogato dei bambini. Un popolare adesivo per paraurti e una maglietta dichiarano al mondo: “Mio figlio ha quattro zampe”. Un sondaggio pubblicato poche settimane fa ha rilevato che ben sette adulti su dieci della Generazione Z (la generazione nata dopo i Millennial) preferirebbero adottare un animale domestico piuttosto che avere figli.
“Sostenibilità” generazionale
Con un’intuizione intelligente, il Santo Padre ha esortato ad ampliare la nostra comprensione della parola “sostenibilità”, tenendo conto della “sostenibilità generazionale”.
Il termine sostenibilità è spesso utilizzato da chi esercita un disumano controllo demografico per sollecitare massicce riduzioni del tasso della natalità umana – spesso utilizzando misure brutali e coercitive – al fine di salvare il pianeta. Tuttavia, Papa Francesco ha sottolineato che la salute della civiltà umana dipende da un sano tasso di natalità. Indicando i periodi di ricostruzione dopo le guerre mondiali, il Papa ha notato che “non c’è stata ripartenza senza un’esplosione di nascite, senza la capacità di infondere fiducia e speranza alle giovani generazioni”.
Invece, le nostre scuole, l’industria dell’intrattenimento e i nostri eroi dello sport stanno inculcando ai giovani una visione superficiale e antinatalista del significato della vita umana, ha osservato Papa Francesco. L’enfasi è posta sulle apparenze. La vera maturità, invece, arriva quando i giovani sviluppano “il coraggio di inseguire sogni grandi, di sacrificarsi per gli altri, di fare del bene al mondo in cui viviamo”. Nella nostra società, tuttavia, i figli sono, nel migliore dei casi, “un diversivo” che intralcia le aspirazioni personali.
Di fronte alla realtà dell’invecchiamento della società, servono politici che si impegnino a escogitare in modo creativo politiche di sostegno alle famiglie, in particolare promuovendo la solidarietà sociale. “Non si può restare nell’ambito dell’emergenza e del provvisorio”, ha detto il Santo Padre, “è necessario dare stabilità alle strutture di sostegno alle famiglie e di aiuto alle nascite. Sono indispensabili una politica, un’economia, un’informazione e una cultura che promuovano coraggiosamente la natalità”.
Questo può comprendere l’offerta di aiuti economici alle coppie che hanno figli o l’adozione di misure per garantire la sicurezza economica e il possesso della casa. A tal proposito ci si può ispirare all’Ungheria, che negli ultimi anni ha compiuto sforzi concertati per incentivare la procreazione. Nel 2011, il tasso di fertilità ungherese era di 1,23, uno dei più bassi in Europa. Da allora è salito a 1,55, con un aumento del 26%. Questo dato è ancora lontano in modo preoccupante dal tasso di sostituzione, ma l’Ungheria rappresenta anche un raro caso in cui un Paese che invecchia ha iniziato a invertire la rotta e a risalire verso un tasso di fertilità sano.
Ridare coraggio alla nostra cultura
Tuttavia, prima di concludere, vorrei aggiungere qualcosa di importante alle osservazioni del Santo Padre. È vero che abbiamo bisogno di politici e di strategie politiche tese a creare le condizioni sociali e politiche che invoglino le coppie sposate ad avere figli. Abbiamo bisogno di salute e stabilità economica e di solidarietà sociale. Ma questo non basta. Non è abbastanza.
Più di ogni altra cosa, abbiamo un disperato bisogno di una riconversione spirituale al Cristianesimo integrale, gioioso e pieno di speranza che ha permesso ai nostri antenati di affrontare la prospettiva di un alto tasso di mortalità infantile, di un alto tasso di mortalità materna e di una ricchezza e di un tenore di vita di gran lunga inferiori a quelli di cui disponiamo noi, e di scegliere comunque di mettere al mondo una nuova vita. Perché, in fin dei conti, la procreazione è un atto di fede e di speranza.
Avere un figlio esprime la fede che la vita umana è fondamentalmente una cosa buona, perché gli esseri umani sono fatti a immagine e somiglianza di Dio. La storia cristiana racconta di un Dio che ama così tanto le sue creature da farsi uno di loro, assumendo la forma di una persona umana.
“Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato” (Gaudium et Spes, 22).
È così grande la nobiltà della persona umana, che Dio stesso ha scelto di assumere la nostra carne e di vivere in mezzo a noi! E Cristo ci ha mostrato che anche una vita segnata dalla peggiore sofferenza immaginabile può essere comunque una vita meravigliosa, se quella sofferenza è una manifestazione della grandezza “dell’amore di qualcuno”.
Avere un figlio è un’espressione di speranza: speranza che, anche se questo mondo decaduto è pieno di dolore e di incertezza, la vita vale comunque la pena di essere vissuta, perché alla fine ogni svolta della storia contribuisce al momento glorioso in cui Cristo tornerà di nuovo, e tutto sarà fatto nuovo, e tutto sarà restaurato in Lui. I bambini che accogliamo nel mondo, se restiamo fedeli e confidiamo nel Signore, un giorno si uniranno a noi nell’eternità, lodando e glorificando il Signore insieme a noi. La storia della nostra vita e quella dei nostri figli parteciperà alla storia gloriosa della risurrezione di Cristo, alla sua vittoria sulla morte.
È questa storia – la più grande e la più vera storia che sia mai stata raccontata – che riempie il cuore dell’uomo con la gioia e la speranza necessarie per fare il salto della fede e accogliere il dono della vita umana. Finché la nostra cultura non riscoprirà la gioia del Vangelo, nessuna politica sociale intelligente sarà sufficiente a convincere le giovani coppie ad avere il coraggio di mettere al mondo figli. Quello che stiamo affrontando non è un problema economico o sociale. È un problema di cuore, un problema spirituale. E fino a quando non si affronta la radice del nostro crollo demografico, tutto il resto è un giocherellare mentre Roma brucia. La nostra società è stanca, decadente, decrepita. Per riconquistare la sua giovinezza, ha bisogno di riconquistare il suo cuore: il cuore del Vangelo. Il cuore di Cristo.
[1] Discorso del Santo Padre Francesco, 14 maggio 2021.