Pericolo di vita con i test prenatali

Di P. Shenan J. Boquet  

(Originale in Inglese: www.hli.org)

Le moderne tipologie di test prenatali non invasivi (detti NIPT, noninvasive prenatal testing) stanno divenendo sempre più conosciute, essendo utilizzate da centinaia di migliaia, se non milioni, di donne ogni anno solo negli Stati Uniti. Questi test altamente redditizi, che promettono ai genitori uno sguardo sul futuro del nascituro rilevando un qualche tipo di malformazione o anomalia genetica, sono proposti in modo prepotente alle donne incinte e, in molte pratiche ginecologiche, sono ormai di routine.

Tuttavia, una nuova sconvolgente indagine del New York Times ha svelato che molti di questi test, che non sono assolutamente regolamentati dalla FDA (la Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, N.d.T.), non sono neanche così accurati come le aziende biomediche dietro di loro vorrebbero far credere ai genitori. Il materiale pubblicitario messo in circolazione dalle società di test indica che i test sono “affidabili” e “altamente accurati”. In realtà, però, alcuni dei test più comuni restituiscono falsi positivi fino all’85-90% delle volte, secondo l’analisi del Times.

I test che il Times ha valutato sono esami del sangue, che utilizzano il sangue prelevato dalla madre nel primo trimestre di gravidanza. La loro attrattiva sta nel fatto che sono estremamente meno invasivi di altre forme di test, come l’amniocentesi, che richiede un campione di liquido amniotico, e che comporta un rischio di aborto.

Un opuscolo pubblicitario di una società di analisi assicura che i test possono dare “tranquillità” ai genitori. Tuttavia, come nota il Times, i genitori che ricevono un risultato positivo spesso trovano tutt’altro che la tranquillità:

“Nelle interviste, 14 pazienti che hanno ottenuto falsi positivi hanno detto che l’esperienza è stata straziante. Hanno ricordato di aver fatto freneticamente ricerche su patologie di cui non avevano mai sentito parlare, seguite da notti insonni e giorni in cui nascondevano le loro pance gonfie agli amici. Otto hanno detto di non aver mai ricevuto alcuna informazione sulla possibilità di un falso positivo, e cinque hanno ricordato che il loro medico ha trattato i risultati del test come definitivi” (Traduzione nostra).

Sfortunatamente, gran parte di questa sofferenza mentale non è sopraggiunta solamente a causa della consapevolezza che il loro bambino potrebbe soffrire di una grave malformazione o di un disordine genetico. Gran parte di essa è dovuta alla sensazione di pressione che i genitori debbano fare qualcosa al riguardo, ossia, debbano prendere rapidamente una decisione sull’eventualità di abortire o meno il loro bambino.

Teoricamente, le donne, i cui figli non ancora nati risultassero positivi ad uno degli esami del sangue, dovrebbero proseguire per trovare test più affidabili – ma ancora lontani dalla perfezione – come quelli fatti attraverso l’amniocentesi: cioè, il prelievo di un campione del liquido amniotico. Tuttavia, uno studio del 2014 ha scoperto che oltre il 6% delle donne ha semplicemente abortito i propri figli senza proseguire con analisi più approfondite. Senza dubbio, alcuni di quei bambini erano sani.

Questo, a sua volta, porta ad un ulteriore trauma per i genitori – quello di scoprire che hanno abortito un bambino sano. Una coppia irlandese è stata descritta, dopo aver abortito il proprio figlio a cui era stata erroneamente diagnosticata la Trisomia 18, come “completamente, totalmente devastata mentalmente e fisicamente”.

Jeanne Mancini, presidente della Marcia per la Vita, ha reagito all’inchiesta del Times, dichiarando alla Catholic News Agency che i bambini a cui sono stati diagnosticati dei problemi di salute sono “presi smisuratamente di mira per essere abortiti”.

“I genitori che ricevono una tale prognosi mentre il loro bambino è in utero dovrebbero ricevere il sostegno medico e gli altri aiuti necessari per permettere loro di custodire il dono della vita, ma il più delle volte non sono supportati in questo modo”, ha lamentato la Mancini. “Il fatto che i test prenatali siano costantemente errati aggiunge un livello di tragedia ancora più profondo all’ingiusta pressione sui genitori ad abortire. A prescindere, ogni vita è un dono e merita protezione – indipendentemente dalla disabilità” (Traduzione nostra).

La dottrina cattolica sui test prenatali

L’insegnamento cattolico non si oppone necessariamente alla pratica dei test prenatali, riconoscendo che ha i suoi validi usi e applicazioni. Tuttavia, la tentazione di abusare dei test prenatali è una tentazione da considerare con attenzione, e che esige, che la decisione di effettuare tali test, sia presa con molta attenzione e in una serie limitata di circostanze.

Questa preoccupazione per il potenziale uso improprio e abuso dei test prenatali è stata sollevata dalla Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede (CDF), nel suo documento Donum vitae del 1987, che esortava a una grande cautela. Il documento notava che la diagnosi prenatale può rendere possibile “far conoscere le condizioni dell’embrione e del feto quando è ancora nel seno della madre; permette, o consente di prevedere, alcuni interventi terapeutici, medici o chirurgici, più precocemente e più efficacemente”. In tal caso la diagnosi prenatale “è lecita”, sebbene solo “se i metodi impiegati, con il consenso dei genitori adeguatamente informati, salvaguardano la vita e l’integrità dell’embrione e di sua madre, non facendo loro correre rischi sproporzionati.” (DV, I, 2)

Donum vitae aggiunge che tale diagnosi “è gravemente in contrasto con la legge morale quando contempla l’eventualità, in dipendenza dai risultati, di provocare un aborto”.

“Pertanto la donna che richiedesse la diagnosi con l’intenzione determinata di procedere all’aborto nel caso che l’esito confermi l’esistenza di una malformazione o anomalia, commetterebbe un’azione gravemente illecita. Parimenti agirebbero in modo contrario alla morale il coniuge o i parenti o chiunque altro, qualora consigliassero o imponessero la diagnosi alla gestante con lo stesso intendimento di arrivare eventualmente all’aborto. Così pure sarebbe responsabile di illecita collaborazione lo specialista che nel condurre la diagnosi e nel comunicarne l’esito contribuisse volutamente a stabilire o favorire il collegamento tra diagnosi prenatale e aborto.” (DV, I, 2)

Nelle sue Ethical and Religious Directives for Catholic Health Care Services (Direttive etiche e religiose per i servizi sanitari cattolici, N.d.T.), la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti ribadisce l’insegnamento di Donum vitae, affermando:

“La diagnosi prenatale è permessa quando la procedura non minaccia la vita o l’integrità fisica del nascituro o della madre e non li sottopone a rischi sproporzionati; quando la diagnosi può fornire informazioni per guidare le cure preventive per la madre o le cure pre o postnatali per il bambino; e quando i genitori, o almeno la madre, danno un consenso libero e informato. La diagnosi prenatale non è consentita quando viene effettuata con l’intenzione di abortire un nascituro con un grave difetto.” (2018, n. 50) (Traduzione nostra)

La nuova eugenetica

Come suggeriscono la Donum vitae e le Direttive etiche e religiose, i test prenatali non sono intrinsecamente problematici. In una società veramente caritatevole e umana, tali esami potrebbero essere usati per sviluppare o fornire le cure a quei bambini a cui vengono diagnosticati problemi di salute, o per aiutare a preparare i genitori ad affrontare le sfide che comportano le cure di un bambino disabile.

Pertanto, una “diagnosi attestante l’esistenza di una malformazione o di una malattia ereditaria non deve equivalere a una sentenza di morte” (Donum vitae, I, 2). Eppure, questo non è ciò che sperimentano molti genitori che ricevono una diagnosi prenatale grave. All’opposto, spesso viene detto loro che le disabilità del loro bambino sono “incompatibili con la vita” o che il bambino ha una “anomalia fatale”. In molti casi, l’etichetta “incompatibile con la vita” riflette un giudizio sulla qualità della vita, non una vera e propria diagnosi medica, e ai bambini, le cui diagnosi sono bollate come “incompatibili con la vita”, sono anche a rischio di essere negate le cure salvavita di base.

Sfortunatamente, nella nostra società anti-vita, gli straordinari progressi della scienza medica sono usati non per proteggere, ma per attaccare la vita umana.

Inoltre, gli interessi finanziari e legali nella nostra cultura altamente contenziosa facilitano concretamente l’identificazione sfrenata delle anomalie prenatali, e la promozione preventiva dell’aborto come una possibile reazione a un test positivo. Se le società che effettuano i test non riescono a rilevare un difetto, o se un ginecologo non riesce a proporre l’aborto come “soluzione”, c’è sempre il rischio di una cosiddetta causa per “wrongful birth” (ossia “nascita sbagliata” è una causa legale che è possibile avviare in alcuni paesi, nella quale i genitori di un bambino affetto da una malattia congenita sostengono che il loro medico non li ha avvisati correttamente del rischio di concepire o partorire un bambino con gravi anomalie genetiche o congenite, N.d.T.). In alcuni casi, i medici hanno dovuto pagare somme enormi per danni, perché non hanno offerto a una donna l’opzione di abortire un bambino che in seguito lei ha ritenuto che avrebbe abortito.

Come ho spesso segnalato, l’aumento dello screening prenatale di routine per problemi di salute e disturbi genetici ha inaugurato una nuova era di eugenetica – un movimento eugenetico nascosto dietro una patina rassicurante di camici da laboratorio e cliniche sterili. In alcuni casi, i test prenatali hanno dato origine a quello che può essere chiamato solo un “genocidio”.

Non uso questo termine con leggerezza. Un genocidio è definito come il tentativo di distruzione di un particolare gruppo di persone. Come altro possiamo chiamare l’eliminazione sistematica di ben il 90% dei bambini ai quali è diagnosticata in utero la sindrome di Down? In alcuni paesi occidentali, come l’Islanda, i bambini con la sindrome di Down sono quasi scomparsi.

Tuttavia, i nostri moderni eugenetisti tecnocratici non vogliono fermarsi alla sindrome di Down. Sperano di eliminare tutte le malattie genetiche, non eliminando la malattia stessa, ma piuttosto i bambini non ancora nati a cui è stata diagnosticata quella malattia. E il loro strumento principale per realizzare questo è la diffusione del test prenatale.

Dare speranza

Anche se sono grato che il New York Times abbia fatto luce sulla verità riguardo la pessima attività dei test prenatali, riconosco anche che i test prenatali probabilmente non spariranno tanto presto. La tecnologia esiste, e anche se attualmente è estremamente imprecisa, sarà probabilmente migliorata nel tempo.

Come movimento, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per spostare il discorso sui test prenatali, assicurandoci che ogni diagnosi prenatale sia ricevuta all’interno di una cultura che sostiene il diritto alla vita di ogni bambino, compresi quelli con disabilità.

Più specificamente, noi del movimento pro-vita dobbiamo trovare modi per dare speranza a quei genitori che ricevono notizie non buone. Un’organizzazione pro-vita che sta già facendo proprio questo è Be Not Afraid (questa associazione si trova negli Stati Uniti, in Italia ci sono altre realtà simili, come ad esempio www.ilcuoreinunagoccia.org , N.d.T.) , che si definisce una no-profit “che sostiene i genitori che portano a termine la gravidanza dopo una diagnosi prenatale”.

“Crediamo che ogni bambino sia un dono”, affermano sul loro sito web, “e sosteniamo i genitori non solo nel difendere le cure di base, ma anche nell’ottenere il trattamento che ritengono appropriato per il loro bambino dopo la nascita, indipendentemente dalla diagnosi”. (Traduzione nostra).

Se non avete familiarità con Be Not Afraid, andate a controllare il loro lavoro. Il loro sito web contiene una ricchezza di informazioni sui test prenatali, e sui molti disturbi genetici che i bambini possono soffrire nel grembo materno. Tristemente, molti genitori che ricevono una diagnosi prenatale sono lasciati ad affrontare le conseguenze senza alcun supporto – anzi, spesso mentre vengono spinti dai loro medici a fare la “cosa giusta” e abortire il bambino.

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