Morte cerebrale: quello che i cattolici dovrebbero sapere
Della Dott.ssa Doyen Nguyen e del Dott. Joseph M. Eble
(Fonte: www.hprweb.com)
La morte cerebrale, la dichiarazione di morte secondo criteri neurologici, è una pratica medicolegale consolidata negli Stati Uniti e in molti paesi del mondo. Nel 1968, il comitato ad hoc della Harvard Medical School introdusse la morte cerebrale definendo (nel paragrafo di apertura del suo rapporto) “il coma irreversibile come nuovo criterio di morte”. La morte cerebrale è stata una questione controversa da allora. Il fatto che i donatori morti cerebralmente siano la fonte primaria dei trapianti di organi ha ulteriormente intensificato la controversia, come evidenziato dal crescente numero di cause legali che sfidano la legittimità della morte cerebrale. Un esempio ben noto è il caso McMath.
La controversia sulla morte cerebrale è di grande importanza per due ragioni principali. Primo, sembra che la Chiesa, attraverso Papa Giovanni Paolo II, abbia accettato la morte cerebrale come un criterio valido per la determinazione della morte. Secondo, attualmente c’è una pressione crescente per cambiare la legge esistente, la Legge sulla determinazione uniforme della morte (Uniform Determination of Death Act, UDDA), in modo da precludere alle famiglie la possibilità di contestare la validità della morte cerebrale. Ci concentreremo su quegli aspetti della morte cerebrale più rilevanti per i cattolici, basando la nostra discussione su prove concrete e sui principi dell’antropologia cattolica.
Cos’è la morte e cos’è la morte cerebrale?
Anche se le persone possono aver sentito parlare della morte cerebrale, molti non ne hanno un’idea chiara, pensando che la morte cerebrale sia la stessa cosa della morte (l’arresto irreversibile di tutte le funzioni vitali come determinato dai tradizionali criteri cardiopolmonari). L’approccio più diretto per comprendere la morte cerebrale è quello di confrontarla con la morte stessa. La morte è sia: (i) un evento metafisico – la separazione dell’anima dal corpo – che, come indica Giovanni Paolo II, “non può essere direttamente individuato da nessuna tecnica scientifica o metodica empirica” – e, (ii) un fenomeno biologico, il processo naturale della decomposizione somatica/corporea del cadavere. Questo processo, che avviene immediatamente dopo il verificarsi dell’evento metafisico della morte, manifesta l’inarrestabile aumento dell’entropia che nessun intervento della tecnica può invertire. Poiché la morte è un fenomeno biologico:
(i) non è tipica di una specie e si applica ugualmente ad altri mammiferi a sangue caldo, così che quando diciamo “nostro cugino è morto”, intendiamo la stessa cosa di quando diciamo “il nostro cane domestico è morto”.
(ii) c’è un insieme di segni riconoscibili che indicano che l’essere a sangue caldo prima vivente è morto. Oltre alla completa cessazione di tutte le funzioni corporee vitali al di là della possibilità di rianimazione, uno dei primi segni identificabili di decomposizione corporea è una rapida diminuzione della temperatura del cadavere a livello della temperatura ambientale. Il rapido drenaggio del sangue dai capillari superficiali nelle vene profonde lascia la pelle grigia e senza vita. Altri segni di morte, cioè il livor mortis e il rigor mortis, si manifestano entro poche ore.
Nel definire il coma irreversibile come un nuovo criterio di morte, il rapporto di Harvard del 1968 avanzò i seguenti criteri diagnostici di morte cerebrale: (i) “completa insensibilità” anche agli stimoli più dolorosi; (ii) nessuna respirazione spontanea come documentato dal test di apnea, (iii) “nessun movimento muscolare spontaneo;” (iv) nessun riflesso, vale a dire i riflessi del tronco cerebrale sono assenti, e in più “come regola i riflessi di allungamento tendineo non possono essere stimolati;” e (v) un encefalogramma piatto. Si noti che nella morte cerebrale, la morte è dichiarata solo sulla base dell’assenza di quelle funzioni del cervello che possono essere testate clinicamente, e non sulla base dell’arresto di tutte le funzioni vitali.
Nel 1981, la Commissione del Presidente per lo Studio dei Problemi Etici in Medicina e nella Ricerca Biomedica e Comportamentale ha approvato la morte cerebrale promulgando la Legge sulla determinazione uniforme della morte. Quest’ultima stabilisce che la morte cerebrale sia morte legale alla pari della tradizionale morte cardiopolmonare e definisce la morte cerebrale come “la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’intero cervello, compreso il tronco cerebrale”.
Nel corso degli anni, i criteri diagnostici iniziali di morte cerebrale sono stati modificati in modo tale che secondo le attuali linee guida (in vigore dal 1995 e aggiornate nel 2010) pubblicate dall’American Academy of Neurology (AAN) risulta che:
(i) un esame neurologico presso il letto di degenza del paziente è sufficiente per determinare la morte cerebrale; l’elettroencefalogramma e l’esame del flusso sanguigno cerebrale non sono richiesti;
(ii) la presenza di pressione sanguigna normale e l’assenza di diabete insipido, entrambi indicativi di una persistente secrezione di ormone antidiuretico (ADH) da parte dell’asse ipotalamo-ipofisario del cervello è compatibile con la morte cerebrale;
(iii) i movimenti spontanei e i vari riflessi di allungamento degli arti, così come la lacrimazione, la sudorazione, l’arrossamento, la tachicardia e gli aumenti improvvisi della pressione sanguigna, non invalidano una diagnosi di morte cerebrale. Per i sostenitori della morte cerebrale, tutti questi segni sono irrilevanti perché hanno origine dal midollo spinale.
Conrado Estol, neuroscienziato e membro attivo del gruppo di lavoro The Signs of Death (I segni della morte, N.d.T.) del 2006, sponsorizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze (PAS), afferma che i movimenti spontanei e i riflessi “sono presenti nel l’80% circa dei pazienti fino a 200 ore dalla diagnosi di morte cerebrale. . . I movimenti [sono] osservati sul tavolo operatorio durante il prelievo degli organi. . . In questo contesto, la morte non è necessariamente un sinonimo di immobilità e i movimenti possono essere visti in alcuni pazienti con [una] diagnosi recente di morte cerebrale”.
A questo punto, i lettori possono osservare la differenza tra morte e morte cerebrale e manifestare le proprie preoccupazioni per il fatto che un corpo che suda, arrossisce e si muove non è di fatto morto. Infatti, non è raro che i donatori cerebralmente morti ricevano anestesia e farmaci paralizzanti per impedire il verificarsi di movimenti durante l’operazione di espianto degli organi. Se mettiamo a confronto: (i) il corpo cerebralmente morto di un futuro donatore di organi, (ii) un paziente vivo e (iii) il corpo morto di un paziente la cui morte è stata determinata da criteri cardiopolmonari tradizionali, è evidente che, ad eccezione del fatto di essere in stato di coma profondo, il paziente cerebralmente morto condivide tutte le caratteristiche dei vivi, tra cui un cuore che batte, pelle calda e organi vitali funzionanti, ad esempio, fegato e reni, tra gli altri.
Inoltre, ci sono stati molti rapporti sui pazienti che sono stati dichiarati morti perché soddisfacevano i criteri diagnostici di morte cerebrale, ma che hanno continuato a vivere per lunghi periodi di tempo. Di questi, i due casi più conosciuti sono TK e Jahi McMath. A TK (inserito nel gruppo di pazienti di Alan Shewmon classificati “morte cerebrale cronica”) è stata diagnosticata la morte cerebrale all’età di quattro anni e mezzo come risultato di una meningite fulminante da Haemophilus influenzae; ha continuato a sopravvivere per altri 20 anni e mezzo. McMath è stata dichiarata cerebralmente morta all’età di 13 anni da due neurologi e un medico di terapia intensiva, ma visse fino a 17 anni. Entrambi sono cresciuti in modo armonico. McMath ha avuto anche i cambiamenti tipici della pubertà, comprese le mestruazioni. Non ci sono stati cambiamenti puberali in TK, poiché l’infezione della meningite aveva completamente distrutto il suo cervello in modo tale che, all’autopsia, ciò che è stato trovato nel cranio non era un cervello, ma una massa sferica calcificata di circa quattro pollici di diametro senza strutture neurali identificabili né grossolanamente né microscopicamente.
In sintesi, il fenomeno biologico della decomposizione somatica, che invariabilmente segue l’evento metafisico della morte (la separazione dell’anima dal corpo), non si è mai verificato durante la morte cerebrale prima che i pazienti fossero sottoposti all’espianto degli organi o rimossi dal supporto vitale. È stato ripetutamente sostenuto che i pazienti cerebralmente morti fossero veramente morti, e che sembrassero vivi solo perché la morte è dissimulata dall’intervento sanitario, specialmente dalla respirazione artificiale. Affermare, tuttavia, che un dispositivo artificiale possa nascondere la decomposizione corporea contraddice il principio di proporzionalità delle cause e degli effetti, secondo il quale una causa non può produrre ciò che non ha in sé. Il ventilatore può solo insufflare aria dentro e fuori i polmoni. Non può innescare lo scambio di ossigeno e anidride carbonica nei polmoni, per non parlare di una miriade di funzioni integrative in tutto il corpo come la circolazione, la funzione renale, la funzione immunitaria e l’omeostasi di numerosi tipi. In effetti, se il ventilatore può nascondere la morte, allora collegandolo al cadavere freddo e pallido di una persona appena dichiarata morta secondo i criteri cardiopolmonari tradizionali dovrebbe far apparire quel corpo morto caldo e rosa, e capace di tutta una serie di funzioni vegetative. Come si può intuire con il senso comune, questo non accadrebbe.
Dichiarazione di Giovanni Paolo II sui criteri neurologici per la determinazione della morte
Il discorso di Giovanni Paolo II al 18° Congresso Internazionale della Società dei Trapianti nel 2000 è stata l’unica volta in cui nel Magistero si è parlato esplicitamente della questione della morte cerebrale. La prima domanda da considerare è: a quale categoria nella gerarchia dell’insegnamento ordinario del Magistero appartiene questo Discorso? Come affermato in Donum Veritatis, l’insegnamento ordinario del Magistero comprende diversi gradi, dalla fascia più alta (ad esempio, le encicliche) “quando il Magistero propone ‘in modo definitivo’ verità riguardanti la fede e la morale”, alla fascia più bassa degli “interventi di ordine prudenziale, [in cui] alcuni documenti magisteriali potrebbero non essere esenti da tutte le lacune” a causa di una insufficiente considerazione della complessità di una questione. Così, per “valutare con precisione l’autorevolezza degli interventi” del Magistero, bisogna prestare attenzione “alla natura dei documenti, all’insistenza con cui viene ripetuto un insegnamento e al modo stesso in cui viene espresso”. A questo proposito, il discorso di Giovanni Paolo II del 2000 appartiene alla categoria degli interventi di ordine prudenziale. In particolare, la sua affermazione sulla morte cerebrale (articolo 5 del Discorso) ricorre solo una volta in tutto l’insegnamento del Magistero. Non se ne fa menzione nel messaggio di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla conferenza del 2005, The Signs of Death (I segni della morte, N.d.T.), (sponsorizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze) o nel discorso di Benedetto XVI del 2008, Un dono per la vita: Considerazioni sulla donazione di organi .
Ai fini della discussione, riportiamo qui i punti chiave del discorso di Giovanni Paolo II:
(i) articolo 4: gli organi vitali singoli non possono essere prelevati che ex cadavere, cioè dal corpo di un individuo certamente morto. . . esiste una sola “morte della persona”, consistente nella totale dis-integrazione di quel complesso unitario ed integrato che la persona in se stessa è, come conseguenza della separazione del principio vitale, o anima, della persona dalla sua corporeità. . . è un evento che non può essere direttamente individuato da nessuna tecnica scientifica o metodica empirica. . . l’avvenuta morte di un individuo produce inevitabilmente dei segni biologici. . . della già avvenuta morte della persona.
(ii) articolo 5: da qualche tempo, diverse motivazioni scientifiche per l’accertamento della morte hanno spostato l’accento dai tradizionali segni cardio-respiratori al cosiddetto criterio “neurologico”, vale a dire alla rilevazione, secondo parametri ben individuati e condivisi dalla comunità scientifica internazionale, della cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica. . . si può affermare che il recente criterio di accertamento della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica.
Molti studiosi cattolici si sono concentrati solo sull’articolo 5, in particolare, la breve e sintetica affermazione, “la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica”, interpretandola come l’approvazione definitiva del Magistero del criterio neurologico per la determinazione della morte. Tuttavia, l’articolo 5 deve essere letto nel contesto dell’intero Discorso. Nell’articolo 3, il papa allude alla dignità umana, indicando che il corpo non può essere trattato come una merce (“solo come un complesso di tessuti, organi e funzioni”). Nell’articolo 4, poiché l’espianto di organi vitali non accoppiati (in particolare il cuore) provoca la morte, il papa sottolinea la necessità di assicurarsi che la persona sia veramente morta (come evidenziato dai segni biologici della disintegrazione somatica) prima di procedere all’asportazione degli organi.
Un esame critico della dichiarazione di Giovanni Paolo II sulla morte cerebrale rivela che l’approvazione presunta definitiva è in realtà un’approvazione condizionata. Ciò è indicato da: (i) l’uso della congiunzione “se”, oltre al verbo “sembra” che trasmette un certo grado di cautela, e (ii) i tre presupposti o condizioni incorporati nella dichiarazione, che devono essere tutti veri o soddisfatti perché segua la conclusione (cioè l’approvazione della morte cerebrale). In primo luogo, il papa presuppone che il criterio della morte cerebrale sia stato stabilito da “parametri ben individuati e condivisi dalla comunità scientifica internazionale” – il termine “parametri” si riferisce ai test diagnostici utilizzati per stabilire la morte cerebrale. Questi parametri sarebbero ben determinati solo se fossero stati sottoposti a una rigorosa convalida scientifica. Tuttavia, tale convalida non ha mai avuto luogo, né prima né dopo l’introduzione della morte cerebrale nella pratica clinica. Anche i parametri non sono condivisi: non esiste un consenso sui test diagnostici, ma piuttosto una confusione di pratiche con una significativa variabilità in tutte le aree, specialmente per quanto riguarda il test dell’apnea, il test cardine per stabilire la morte cerebrale. Gli scritti degli studiosi favorevoli alla morte cerebrale riconoscono questa mancanza di consenso – per esempio, “Brain Death Worldwide: Accepted Fact but No Global Consensus in Diagnostic Criteria” (Wijdicks, Neurology, 2002); “Variability of Brain Death Determination Guidelines in Leading US Neurologic Institutions” (Greer et al., Neurology, 2008); e, più recentemente, “Worldwide Variance in Brain Death/Death by Neurologic Criteria” (supplement 1 to Greer et al., JAMA, 2020).
In secondo luogo, l’approvazione della morte cerebrale da parte di Giovanni Paolo II si basa sulla condizione che il criterio neurologico sia applicato rigorosamente. Tuttavia, senza convalida e consenso dei suoi parametri diagnostici, non si può procedere a un’applicazione rigorosa. Inoltre, il gruppo standard di parametri (secondo le linee guida dell’American Academy of Neurology) è inadeguato a determinare la perdita irreversibile di tutte le funzioni cerebrali, perché consiste in test clinici presso il letto di degenza del paziente che hanno come oggetto solo la funzione del tronco encefalico. Così, non è raro che i pazienti che soddisfano i parametri presso il letto di degenza per la morte cerebrale abbiano dimostrato la presenza di produzione di ADH (ADH è un ormone prodotto dall’ipotalamo, zona del cervello situata subito sopra alla neuroipofisi, N.d.T.) e/o attività elettrica cerebrale su test elettroencefalogramma.
Fondato sulla condizione di applicazione rigorosa è il terzo e più importante presupposto del papa, ossia che la morte cerebrale “non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica”. L’antropologia in questione è l’antropologia cristiana fondata sulla dottrina aristotelico-tomista dell’Ilemorfismo (la visione sostanziale della persona umana) secondo la quale l’uomo è l’unione sostanziale di materia (corpo) e forma (anima). Come dichiarato nella Summa Theologiae I, q. 76, a. 1:
“. . . l’anima è il principio primo e immediato in forza del quale compiamo tutte le operazioni vitali: infatti l’anima è il principio primo e immediato in forza del quale ci nutriamo, sentiamo e ci moviamo localmente, e in forza del quale abbiamo l’intellezione (facoltà conoscitiva attuata per mezzo dell’intelletto, N.d.T.)”.
Queste diverse attività della vita manifestano le tre capacità (potenze) fondamentali dell’anima umana – vegetativa, sensibile (sensorio-motoria) e razionale – che si relazionano tra loro in una rigida gerarchia ontologica in cui la potenza “inferiore” è il presupposto della potenza superiore. Di conseguenza, se non ci sono manifestazioni rilevabili della potenza più alta (razionale), la presenza dell’anima può ancora essere confermata da manifestazioni della sua potenza più bassa ma più fondante – la potenza vegetativa, espressa in e attraverso numerose funzioni vegetative integrative che lavorano insieme per mantenere il corpo integrato.
Che l’anima sia il primo principio per cui il corpo vive, significa che l’anima fa sì che il corpo sia ciò che è e lo mantenga integrato. L’unione sostanziale anima-corpo significa che l’anima “dovrà quindi trovarsi in tutto il corpo e in ciascuna delle sue parti”; di conseguenza, “quando l’anima si ritira, nessuna parte del corpo conserva la propria attività” (ST I, q. 76. a. 8). Giovanni Paolo II ribadisce proprio questo punto, affermando che: “esiste una sola ‘morte della persona’, consistente nella totale dis-integrazione di quel complesso unitario ed integrato che la persona in se stessa”. Tuttavia, invece di subire questa disintegrazione, i pazienti cerebralmente morti mostrano tutta una serie di funzioni vegetative integrative che includono la funzione cardiovascolare, il mantenimento della temperatura corporea, l’assorbimento delle sostanze nutritive e l’espulsione di escrementi, tra le altre. Non sono queste le manifestazioni del potere vegetativo dell’anima umana? Molti pazienti cerebralmente morti dimostrano anche movimenti spontanei e riflessi degli arti. Non sono queste le manifestazioni del potere sensomotorio dell’anima umana? La realtà della morte cerebrale falsifica la pretesa che il criterio neurologico sia compatibile con l’antropologia della Chiesa.
Poiché nessuno dei tre presupposti della dichiarazione del papa regge, non si può dire che il Magistero abbia dato alla morte cerebrale il suo timbro di approvazione. Sembra che, al momento del suo Discorso, il papa mancasse di alcune informazioni chiave sulla morte cerebrale, specialmente le seguenti: (i) le linee guida dell’Accademia Americana di Neurologia (note dal 1995), secondo le quali la morte può essere dichiarata nonostante la presenza di movimenti spontanei, la produzione persistente di ADH e altre attività corporee; e (ii) la logica filosofica alla base della morte cerebrale (nota dal 1981), secondo la quale il cervello è l’organo-integratore capo fondamentale del corpo senza il quale la persona umana è morta.
Tale logica contraddice l’antropologia della Chiesa, secondo la quale l’anima (e non il cervello) è il principio che anima il corpo, mantenendolo integrato, e senza il quale la persona umana è morta. Inoltre, contraddice anche il noto doppio assioma sul “tutto e le parti” secondo il quale il tutto organico è maggiore della somma delle sue parti ed è ontologicamente anteriore alle sue parti. Di conseguenza, nessuna parte può rendere conto di sé stessa, tanto meno del tutto organico. Poiché ogni persona umana inizia la vita come uno zigote unicellulare e si sviluppa in un embrione prima di acquisire un cervello, la relazione del cervello nei confronti del corpo (la persona umana) è quella di una parte nei confronti del suo insieme più grande, perché il cervello, proprio come qualsiasi altro organo o parte, comincia ad esistere solo dopo che la persona ha cominciato ad esistere. In breve, il cervello non può essere alla base dell’integrazione e della vita dell’insieme organico da cui si sviluppa.
La pressione per far diventare le linee guida dell’Accademia Americana di Neurologia la legge nazionale sulla Morte Cerebrale
La morte tocca ogni membro della società. Eppure, i cittadini sono stati esclusi dal processo decisionale che ha portato alla promulgazione della Legge sulla determinazione uniforme della morte che ha stabilito la morte cerebrale come morte legale al pari della tradizionale morte cardiopolmonare. Tuttavia, con un graduale aumento della consapevolezza pubblica sulla morte cerebrale e la sua connessione al trapianto di organi, c’è stata una crescente resistenza contro la morte cerebrale da parte delle famiglie dei pazienti e un conseguente aumento delle cause legali che sfidano lo status legale della morte cerebrale. Le rivendicazioni legali delle famiglie sono di tre categorie:
(i) La determinazione della morte cerebrale (che segue le linee guida diagnostiche dell’Accademia Americana di Neurologia) non soddisfa i requisiti legali della Legge sulla determinazione uniforme della morte. Tale legge definisce la morte cerebrale come “la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’intero cervello”; ma le linee guida dell’Accademia Americana di Neurologia insistono che la produzione di ADH da parte del cervello è compatibile con la morte cerebrale. Inoltre, gli studi hanno dimostrato che in alcuni pazienti che soddisfano i criteri clinici per la morte cerebrale, l’elettroencefalogramma ha dimostrato un’attività cerebrale persistente. Eppure, le linee guida dell’Accademia Americana di Neurologia rendono il test dell’elettroencefalogramma facoltativo/non necessario, il che può solo diminuire la precisione nell’accertare la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’intero cervello.
(ii) Il consenso è richiesto prima di condurre test diagnostici per la morte cerebrale, specialmente il test dell’apnea, in cui il paziente viene temporaneamente rimosso dal ventilatore: se non si verifica alcuna respirazione spontanea, il paziente non supera il test dell’apnea. Il test dell’apnea non è vantaggioso per i pazienti in coma, poiché può causare varie complicazioni come l’arresto cardiaco, l’ipotensione e il peggioramento del gonfiore cerebrale. Tuttavia, i sostenitori della morte cerebrale sostengono che il consenso non è richiesto perché: (a) l’individuo cerebralmente morto è morto, e nessun consenso dovrebbe essere richiesto per una procedura su un corpo morto, e (b) richiedere il consenso equivale a permettere alle famiglie di rinunciare a una diagnosi di morte cerebrale.
(iii) Obiezione religiosa a una dichiarazione di morte sulla base di una diagnosi di morte cerebrale.
La ragione principale della resistenza delle famiglie alla morte cerebrale sta nel fatto che i loro cari, sebbene dichiarati morti, danno ancora molti segni di vita. Tuttavia, i sostenitori della morte cerebrale insistono che tale resistenza è causata dalle variazioni delle leggi sulla morte cerebrale tra gli stati (tutti i 50 stati hanno adottato la Legge sulla determinazione uniforme della morte, comunque) e che la causa di tali variazioni è la Legge sulla determinazione uniforme della morte stessa. Così, nel gennaio 2020, i principali membri dell’Accademia Americana di Neurologia hanno proposto una “Legge sulla determinazione uniforme della morte rivista” (Lewis et al., “It’s Time to Revise the Uniform Determination of Death,” Annals of Internal Medicine). Una critica dettagliata di questa proposta può essere trovata in “Does the Uniform Determination of Death Act Need to Be Revised? (Nguyen, The Linacre Quarterly, 2020). I tre punti più importanti della proposta sono: (i) la definizione della morte cerebrale nella Legge sulla determinazione uniforme della morte è cambiata in modo tale che corrisponda specificamente alle linee guida dell’Accademia Americana di Neurologia, (ii) il consenso non è richiesto per condurre test di morte cerebrale, e (iii) sono incluse disposizioni per l’accettazione di future revisioni delle linee guida dell’Accademia Americana di Neurologia. In breve, la strategia utilizzata nella proposta “Legge sulla determinazione uniforme della morte rivista” è quella in cui la legge riguardante la morte cerebrale può essere manipolata per diventare subordinata alle linee guida dell’Accademia Americana di Neurologia. Questa proposta è stata presentata alle autorità legali ufficiali per una deliberazione in corso. Se divenisse legge, precluderebbe effettivamente alle famiglie la possibilità di opporsi sia ai test di morte cerebrale che a una diagnosi di morte cerebrale, eliminando così tutte le eventuali cause legali.
Conclusione
Questo saggio ha presentato le informazioni più rilevanti riguardanti la morte cerebrale, la maggior parte delle quali, a nostra conoscenza, non sono state rese disponibili al grande pubblico, compresi i cattolici. Abbiamo fornito ampie prove sia empiriche che filosofiche che la morte cerebrale non è la stessa cosa della simpliciter morte (la morte intesa come la separazione dell’anima dal corpo, seguita dai segni biologici del processo di decomposizione corporea).
La questione della morte cerebrale ha un risvolto concreto poiché la maggior parte delle persone ha una patente di guida. Quando si consegue la patente, le persone possono scegliere se dare il consenso a diventare o meno un donatore di organi (secondo la normativa vigente negli Stati Uniti, N.d.T.). Non sono informati, tuttavia, che scegliendo “sì”, accettano implicitamente di poter essere dichiarati morti sulla base del criterio neurologico.
A causa della stretta connessione tra morte cerebrale e trapianto di organi, il fatto che la morte cerebrale non sia la stessa cosa della simpliciter morte ha un significato etico. Per quanto nobile sia lo scopo del trapianto d’organi, esso non può nuocere alla vita di una persona morente in coma irreversibile (che il rapporto di Harvard definisce come il nuovo criterio di morte). Qui, aiuta ricordare sia l’insegnamento della lettera ai Romani 3,8 che non possiamo fare il male per ottenere il bene, sia l’insegnamento di Pio XII che, nel 1957, affermava che “la vita umana continua finché le sue funzioni vitali … si manifestano spontaneamente o anche con l’aiuto di processi artificiali” (Discurso del Santo Padre Pío Xii Sobre Tres Cuestiones de Moral Médica Relacionadas con la Reanimación Domingo 24 de noviembre de 1957, N.d.T.). Per questo Giovanni Paolo II, nel suo discorso del 2000, ammoniva che “Ciò che è tecnicamente possibile, non è per ciò stesso moralmente ammissibile” (articolo 2). Benedetto XVI ha poi ribadito nel 2008 che “i singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere [e] deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore così che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale”. L’affermazione che Benedetto XVI fece come cardinale Ratzinger nel suo discorso del 1991, I problemi delle minacce alla vita umana, è ancora più esplicita:
“Oggi siamo testimoni di una vera guerra dei potenti contro i deboli, una guerra che mira all’eliminazione dei disabili… in tutti i momenti della loro esistenza. Con la complicità degli Stati, mezzi colossali sono stati utilizzati contro le persone, all’alba della loro vita, o quando la loro vita è stata resa vulnerabile da un incidente o da una malattia, . . . In particolare, coloro che la malattia o l’incidente fanno cadere in un coma ‘irreversibile’ vengono spesso messi a morte per rispondere alla domanda di trapianti di organi o vengono addirittura utilizzati per esperimenti medici (“cadaveri caldi”)”.
Come ha indicato Giovanni Paolo II, “la Chiesa non prende decisioni tecniche”. Tuttavia, essa ha il compito di “esercitare la responsabilità evangelica di confrontare i dati offerti dalla scienza medica con una concezione unitaria della persona” (articolo 5). Sarebbe molto utile se la Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, e in ultima analisi il Magistero, potesse emettere un chiarimento di tale Indirizzo basato su un attento studio degli aspetti medici della morte cerebrale (in particolare le linee guida dell’Accademia Americana di Neurologia) alla luce degli elementi essenziali dell’antropologia della Chiesa. Un tale chiarimento aiuterebbe a dissipare la confusione tra i cattolici riguardo alla morte cerebrale. Nel frattempo, si spera che questo saggio aiuti i cattolici a prendere una decisione ben informata riguardo alla donazione-trapianto di organi da donatori cerebralmente morti, e li aiuti ad essere proattivi riguardo all’imminente probabilità della promulgazione di una ” Legge sulla determinazione uniforme della morte rivista”, che toglierà loro il diritto di rifiutare i test di morte cerebrale e di contestare una diagnosi di morte cerebrale.