L’universalità della legge morale
Di Mons. Ignacio Barreiro
Una delle questioni più controverse, in questo secolo ancora giovane, è la natura del matrimonio. Coloro che non credono che tutti gli esseri umani abbiano una natura comune, o una legge che emerge da quella natura, hanno tentato di ridefinire il matrimonio. Anche quando ciò è impossibile, gli innovatori hanno certamente creato confusione nella società riguardo la sua definizione e hanno ottenuto numerose vittorie nelle corti e in ambito legislativo.
Chi è ancorato nella tradizione della legge naturale, tuttavia, vede chiaramente che il matrimonio è iscritto nella nostra natura. Esso è l’unione permanente ed esclusiva di un uomo e una donna allo scopo della procreazione, della cura e dell’educazione dei bambini; è la donazione di amore e di sostegno reciproci tra i coniugi.
Il punto di partenza per la difesa del matrimonio, dal punto di vista della legge naturale, dovrebbe essere il fatto che tutti gli uomini sono plasmati nella medesima natura. L’esistenza di questa natura è chiara: l’uomo ha la capacità di comprendere le leggi fisiche e morali dell’ordine naturale. Questo fatto è stato affermato da innumerevoli pensatori di varie tradizioni, ed è stato riconosciuto dal Magistero della Chiesa, come si vedrà in seguito.
La natura umana diventa ancora più evidente e in grado di essere conosciuta attraverso i suoi effetti. Tutti gli uomini hanno le stesse inclinazioni verso il bene, o ciò che essi percepiscono e tutelano come bene, e il desiderio di evitare il male. Allo stesso tempo l’esperienza dimostra che l’uomo può avere appetiti o sentimenti che sono in contraddizione con il vero bene. Questa è la lotta interiore comune a tutti gli uomini, quella che tutti devono condurre nella ricerca del vero bene. (Questa esperienza inoltre, evidenzia la ragionevolezza della dottrina del peccato originale).
Questa natura comune è la base delle rivendicazioni di uguaglianza di tutti gli uomini, rivendicazioni che fanno riferimento a una dignità comune piuttosto che a capacità condivise, cosa che sarebbe assurda. L’esistenza di una natura comune condivisa tra gli uomini di tutto il mondo nel corso della storia consente una comunicazione razionale e una relazione fraterna tra tutti gli esseri umani. Se ogni cultura in tutto il mondo fosse stata in grado di produrre cambiamenti sostanziali nella natura degli uomini, ci troveremmo in diversi circoli ermeneutici che impedirebbero una comunicazione sostanziale. Ma la comunicazione è possibile perché sotto una patina socio-culturale più o meno sottile tutti noi possediamo le stesse fondamentali inclinazioni, angosce e speranze.
Questa natura è la causa dei principi che regolano i processi delle persone umane, principi che noi chiamiamo la legge naturale, che a sua volta ci dice qualcosa di molto concreto di come gli uomini dovrebbero comportarsi. Le persone umane dovrebbero agire in accordo con ciò che conduce questa natura alla sua completezza. Così possiamo arrivare ad una formulazione della legge naturale: “Poiché la natura umana contiene alcune caratteristiche, gli esseri umani dovrebbero agire o comportarsi in conformità con tali caratteristiche”.
Da questo punto di vista, la legge naturale è come un manuale di istruzioni del produttore, scritto nella nostra natura, su come dovremmo agire. Nella misura in cui una persona agisce in conformità con queste istruzioni, realizza il suo potenziale. Nella misura in cui egli agisce contro tali istruzioni, si fa del male e si allontana dal suo vero bene.
La legge naturale è stata a lungo sotto attacco da fonti molto diverse. Alcuni pensatori luterani e calvinisti esagerarono gli effetti del peccato originale, sostenendo che la natura umana era totalmente decaduta in conseguenza del peccato dei nostri progenitori e quindi era impossibile conoscere o discernere una legge morale universale. Sulla scia della rivoluzione protestante si posero gli Illuministi, che concepirono gli uomini come individui autonomi che non potevano essere governati da una legge che non avevano accettato in precedenza. È facile vedere come ciò abbia portato a un liberalismo che ha prodotto il soggettivismo e il rifiuto di una legge morale oggettiva. Inoltre, la cultura nazionalista del diciannovesimo secolo ha posto un accento eccessivo su come l’uomo è modellato dalla storia della sua cultura particolare, cosicché tra gli uomini si possono trovare differenze profonde a livello della loro intima natura.
Tutte queste rivoluzioni ideologiche hanno portato ad un atteggiamento di crescente scetticismo per quanto riguarda la possibilità dell’esistenza e della conoscenza di una legge naturale universale. Contro questi approcci sbagliati bisogna insistere sul punto fondamentale che le differenze culturali, molte delle quali sono davvero profonde, sono accidentali e non sostanziali. Cioè, queste differenze non sono a livello della natura umana, ma a livello culturale.
Allo stesso tempo, è chiaro che vi è una cultura globale complessiva ispirata al liberalismo e al relativismo che nega una legge naturale oggettiva. Il rifiuto contemporaneo di una legge naturale universale è stato affrontato in modo magistrale da San Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor:
“Non si può negare che l’uomo si dà sempre in una cultura particolare, ma pure non si può negare che l’uomo non si esaurisce in questa stessa cultura. Del resto, il progresso stesso delle culture dimostra che nell’uomo esiste qualcosa che trascende le culture. Questo «qualcosa» è precisamente la natura dell’uomo: proprio questa natura è la misura della cultura ed è la condizione perché l’uomo non sia prigioniero di nessuna delle sue culture, ma affermi la sua dignità personale nel vivere conformemente alla verità profonda del suo essere. Mettere in discussione gli elementi strutturali permanenti dell’uomo, connessi anche con la stessa dimensione corporea, non solo sarebbe in conflitto con l’esperienza comune, ma renderebbe incomprensibile il riferimento che Gesù ha fatto al «principio», proprio là dove il contesto sociale e culturale del tempo aveva deformato il senso originario e il ruolo di alcune norme morali (cf Mt 19,1-9). In tal senso «la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli». (Veritatis splendor, # 53)
La perdita di fiducia nella nostra capacità di conoscere una legge naturale lascia l’uomo inerme contro l’uso arbitrario del potere o la manipolazione ideologica. Chiunque sia al potere cercherà di imporre la propria volontà, senza i controlli oggettivi e gli equilibri che provengono da una legge che si fonda sul nostro essere. Se non abbiamo una legge che regola il comportamento umano e che precede ed è fondamento del diritto positivo, la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi che possono o non possono portare a una maggiore giustizia e prosperità. Questa volontà di potenza, che può avere una sottile parvenza democratica, cerca di trasformare interessi privati in una legge che spesso entra in conflitto con i doveri derivanti dalla legge naturale.
Le leggi positive ottengono la loro legittimità se sono in conformità con la legge che abbiamo inscritta nel nostro essere. Come Benedetto XVI ha sottolineato in un discorso del 2007 per il Congresso Internazionale sulla Legge Morale Naturale:
“Nessuna legge fatta dagli uomini può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento basilare. Dimenticarlo significherebbe indebolire la famiglia, penalizzare i figli e rendere precario il futuro della società.” (Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla Legge Morale Naturale promosso dalla Pontificia Università Lateranense. Lunedì 12 febbraio 2007).
Persino all’interno della Chiesa vediamo come le forze del relativismo siano attive, anche se tali posizioni furono denunciate dal Cardinale Ratzinger nella sua ben nota omelia della Messa “Pro Eligendo Romano Ponfice” pronunciata poco prima di essere eletto papa. Questo relativismo porta al rifiuto del diritto naturale sulla base della presunta autorità delle mutevoli culture a cui si appartiene. Tale pluralismo morale contraddittorio è contrario alla volontà di Dio, Fonte della legge naturale universale. In questi tempi di confusione, il principio cattolico del discernimento al quale dovremmo attenerci, fu formulato molti secoli fa da Cesareo di Arles: “Quello che è stato sempre, ovunque e da tutti creduto e praticato”. Le categorie sempre, ovunque, da tutti non dovrebbero essere intese in senso aritmetico, ma piuttosto in un senso morale come certe credenze di base che sono state dominanti in società fiorenti nel corso della storia.
Da un punto di vista teologico, noi cristiani crediamo fermamente che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, come si vede nel libro della Genesi. Noi possiamo vedere nel Suo unigenito Figlio l’immagine che Dio Padre ha contemplato nella Sua mente come “modello per i costruttori”. E se tutti gli uomini sono stati creati a questa Immagine, siamo tutti sostanzialmente uguali e la medesima legge vale per tutti noi.
Le istanze della legge naturale sono scritte nei cuori di tutti gli uomini (Rom. 2:15), quindi possiamo affermare che questa legge è accessibile a tutti gli uomini di buona volontà. San Tommaso d’Aquino spiega che questa legge non è altro che la “partecipazione della legge eterna nella creatura razionale” (Summa Theologiae I-II, q. 91, a.2). Il dottore Angelico spiega anche che questa è “la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio l’ha donata nella creazione”. (In Duo Praecepta Caritatis et in Decem Legis Praecepta. Prologus: Opuscula Theologica, II, No. 1129, Ed. Taurinens. (1954), 245).
Ultimo ma non meno importante il Magistero della Chiesa ha costantemente definito che si deve credere all’esistenza della legge naturale. Senza fare una presentazione esaustiva di questo Magistero, dovremmo menzionare la Costituzione dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I che nel capitolo quarto fa una presentazione eloquente del ruolo della fede e ragione nella conoscenza della Verità, e addirittura mette in guardia sul dissenso riguardo ciò: “Se qualcuno dirà che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione umana, attraverso le cose che da Lui sono state fatte: sia anatema” (Dei Filius, C.II.1).
Lo stesso punto è ribadito in diversi passaggi della Costituzione Pastorale “Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” del Concilio Vaticano II, come anche nella Dichiarazione Persona Humana, della Congregazione della Dottrina della Fede del 1975:
“Ma, in realtà, la rivelazione divina e, nel suo proprio ordine, la sapienza filosofica, mettendo in rilievo esigenze autentiche della umanità, per ciò stesso manifestano necessariamente l’esistenza di leggi immutabili, inscritte negli elementi costitutivi della natura umana e che si manifestano identiche in tutti gli esseri, dotati di ragione”. (Dichiarazione Persona Humana, IV).
Anche se non sono solo i Cattolici a difendere e sostenere l’esistenza di una legge morale universale e naturale, i Cattolici possiedono nel Magistero una ricchezza di pensiero chiaro e i mezzi per sostenere tale legge. Questa legge si basa sulla credenza nell’esistenza di una natura comune a tutti gli uomini e l’universalità della legge naturale è stata più volte affermata dal Magistero della Chiesa.