Uomo e donna responsabili entrambi di fronte alla vita concepita
(Fonte: prolifeinsieme.it )
L’uomo viene giustamente esecrato quando non si assume le sue responsabilità di padre. Ma parimenti dovrebbe essere esecrata la donna, che non si assuma le sue responsabilità di madre.
Ulpiano [D. 25.4.1.pr.-1 (Ulp. 24 ad ed.)] tratta del caso di una moglie divorziata che il marito sospetta nascondere una gravidanza in atto. Il magistrato interpellato nomina tre ostetriche affinché si accertino della stato interessante o meno della moglie divorziata: se la gravidanza verrà accertata, verrà nominato un curator ventris a tutela del nascituro. Ulpiano conclude:
«Ex hoc rescipto evidentissime apparet senatus consulta de liberis agnoscendis non locum habuisse, si mulier dissimulater se pregnantem vel etiam negaret nec immerito: partus enim antequam edatur, mulieris portio est vel viscerum, post editum plane partum a muliere jam potest maritus jure suo filium per interdictum desiderare aut exhiberi sibi ducere permitti, extra ordinem agitur, princeps in causa necessaria subvenit.
Da questo rescritto risulta nel modo più evidente che in questa causa legale non trovano posto i senatusconsulta “Sul riconoscimento dei figli”, se la donna nascondesse di essere incinta oppure anche se negasse non senza dolo: il figlio infatti prima che venga partorito, è parte della donna o delle viscere, dopo che il figlio sia stato partorito dalla donna subito può il marito per suo proprio diritto reclamare il figlio a mezzo di sentenza del pretore oppure valutare di farselo consegnare, si agisce fuori dell’ordinamento oppure se necessaria una causa legale interviene a supporto il princeps.»
Il testo nettamente distingue tra ciò che appartiene alla donna (mulieris portio) oppure al contenuto interno del suo corpo (vel viscerum) contrapponendosi i due genitivi mulieris e viscerum: iI grande giureconsulto non avrebbe sprecato tempo a scrivere due genitivi se essi fossero equivalenti. Il termine viscera fa riferimento alla dipendenza del nascituro nei confronti dell’ambiente protettivo e di crescita offertogli dalla madre. (cfr Ernesto Bianchi in: Rivista di Diritto Romano XIII 2013).
Già gli Antichi Romani avevano chiarissimo che il nascituro si considera come già nato, tutte le volte che si tratti del suo interesse (nasciturus pro iam nato habetur quotiens de eius commodo agitur): affermazione del giureconsulto pagano Giulio Paolo, contemporaneo di Ulpiano 3° secolo d.C. entrambi giureconsulti pagani. Il primario, fondamentale interesse del bambino concepito è infatti nascere e poter vivere.
Ancor prima Aulo Gellio (circa 125-180 d.C.), parimenti pagano, deplora l’insensatezza e le pratiche fraudolente, per mezzo delle quali talune donne si provocano l’aborto: “è degno del pubblico disprezzo e del generale orrore uccidere l’uomo nei primordi della vita, mentre si forma, mentre si anima, tra le mani della natura artefice” (Noctes Atticae XII 1, 8-9).
Secoli prima Ippocrate (circa 460-370 a.C.) scriveva nel Giuramento: “Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un’iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l’aborto.” I Medici obiettori non fanno altro che rispettare tale Giuramento; gli abortisti lo tradiscono.
La Lex Ripuaria, redatta in Colonia attorno al 630 d.C., stimava così tanto la donna recante nel suo grembo un bambino da stabilire che la pena per l’uccisione di una donna in stato interessante fosse inferiore soltanto a quella comminata a chi uccidesse un vescovo, ed era maggiore di quella per l’uccisione della donna in quanto tale.
Gli antichi non disponevano dell’ecografia per visualizzare il bambino nell’utero, ma usavano logica, buon senso, umanità. E ciascuna donna, allora come oggi, avvertendo la nuova vita sbocciata nel suo grembo materno, naturalmente si esprime: “Aspetto un bambino”. Nessuna mai direbbe: “Il mio utero è occupato da un grumo di cellule” o robe simili. E, sentendo il bambino scalciare, ciascuna donna, allora come oggi, avverte la prepotente vitalità dell’inquilino.
Si deve pertanto ritenere perfettamente logica ed evidente l’affermazione di Papa Francesco: “La scienza ti dice che a poche settimane dal concepimento ci sono già tutti gli organi. Si uccide un essere umano.”
Inorridiamo a leggere che nei tempi più antichi il padre detenesse diritto di vita e di morte su tutti i membri della famiglia: moglie, figli, schiavi. Oggi però femministe ed abortisti esaltano il diritto, in realtà l’arbitrio della madre che uccide il figlio in utero. In questa nostra epoca in cui si insorge contro ogni forma di discriminazione invocando parità di diritti, il padre che vuole difendere suo figlio, viene estromesso da ogni suo possibile intervento, poiché soltanto ed esclusivamente la madre dispone soggettivamente di vita e di morte sul bambino concepito. Si tratta di una evidente assurdità contraria non soltanto al diritto di vivere di cui è titolare il bambino, bensì anche sul piano strettamente giuridico poiché entrambi i genitori sono manifestamente titolari di eguali diritti.
Nella nostra epoca il legislatore ha molto frequentemente rinunciato a qualsiasi criterio logico di diritto naturale, cosicché redige in modo del tutto arbitrario ed in base a convenienze demagogiche disposizioni che non dovrebbero neppure essere qualificate come leggi.
Dott. Luciano Leone. Medico chirurgo. Pediatra
Comitato “Pro-life insieme“
Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) nel De Legibus (I, 6, 18) scrive: “La legge è la ragione suprema insita nella natura, la quale comanda ciò che si deve fare e proibisce il contrario. Questa stessa ragione, poiché è radicata e perfetta nella mente dell’uomo, è appunto legge”. E nel De Republica (III, 22,33): “Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si riscontra in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti richiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall’errore. A questa legge non è lecito apportare modifiche né toglierne alcunché né annullarla in blocco, e non possiamo esserne esonerati né dal senato né dal popolo, né si deve far ricorso ai commenti o alle interpretazioni di (un grande giureconsulto quale) Sesto Elio; essa non sarà diversa da Roma ad Atene o dall’oggi al domani, ma come unica, eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli ed in ogni tempo, ed un solo Dio sarà comune guida e capo di tutti: quegli cioè che elaborò e sanzionò questa legge; e chi non le obbedirà, fuggirà sé stesso e, per aver rinnegato la stessa natura umana, sconterà le più gravi pene”.
Cicerone ha così magistralmente definito l’origine e le prerogative del Diritto Naturale e la sua indipendenza dal potere politico e dalle sue leggi, sia che queste derivino dal governo (senato) sia che siano conformi al consenso popolare.
Risulta evidente che già molto tempo prima dell’era cristiana con il solo aiuto della ragione persone dotate di intelligenza e di moralità erano in grado di dedurre dalla realtà dell’essere l’esistenza di un Diritto Naturale, innato nella comune natura umana e nella sua razionalità. Il Diritto Naturale si presenta come norma oggettiva dell’agire, norma che ogni uomo porta dentro di sé, e diventa vincolante per la retta condotta, indipendentemente da ciò che lo stato possa stabilire nel suo diritto positivo. Parimenti Lattanzio (fine 2°-3° sec d.C.), retore pagano convertito al Cristianesimo, riteneva piano comune di accordo tra pagani e Cristiani il riferimento al diritto naturale.
Gaio, giureconsulto pagano (2° sec. d.C.), nelle Institutiones riprende più volte concetti analoghi: (I, 1) “Ciò che invero la ragione naturale stabilisce per tutti gli uomini, proprio questo presso tutti i popoli viene ugualmente osservato e viene denominato diritto delle genti, poiché di questo diritto si servono tutte le genti”; (I, 158) “La legge civile può alterare i diritti civili, ma non i diritti naturali”, e soprattutto (III, 1, 1) “La legge civile non può abrogare i diritti naturali”.


