Come il matrimonio rende felici
Di Don Shenan J. Boquet
(Originale in inglese)
Leggendo i Vangeli, si può passare tanto tempo a meditare su quello che non viene detto, tanto quanto su quello che viene detto.
Prendiamo, ad esempio, la storia del miracolo alle nozze di Cana. Chi è, ci si può chiedere, quella fortunata coppia che ha avuto Nostro Signore e Sua Madre come ospiti d’onore alle loro nozze? Si trattava di qualche amico d’infanzia di Nostro Signore, forse qualcuno dei primi discepoli, oppure di uno dei parenti di Maria che si stava sposando (forse più probabile)?
Non lo sappiamo. Tutto ciò che ci viene detto è che Maria, la Madre di Gesù, è presente e che anche Gesù e i suoi discepoli sono stati invitati alle nozze. Di certo, chiunque fossero gli sposi, dovevano essere persone care sia a Gesù che a Sua Madre.
E poi c’è il miracolo stesso. Nel Vangelo ci viene detto esplicitamente che questo è il primo miracolo pubblico di Cristo. Inoltre, questo primo miracolo non è un miracolo plateale, pensato appositamente per dimostrare il potere di Cristo ai suoi discepoli. Si tratta invece di un miracolo gioioso che fa comprendere le abbondanti grazie che Gesù elargirà al genere umano nella nuova creazione.
Infatti, come raccontano i Vangeli, non è Cristo che dà origine a questo grande segno. È sua Madre, che si rivolge a Lui con la sua richiesta: «Non hanno più vino».
Cristo capisce subito cosa Gli sta chiedendo sua Madre, eppure sembra intenzionato a non fare nulla al riguardo. «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora», risponde. Eppure, Maria non si lascia scoraggiare. «Fate quello che vi dirà», dice ai servi.
Maria compare in un momento critico della vita, e parla come una madre amorevole che si prende cura dei suoi figli in difficoltà. Non può permettere che la coppia di sposi novelli faccia la figuraccia di rimanere senza vino. Cristo capisce. Sua Madre ha parlato; ha interceduto. E così trasforma l’acqua in vino. Vino pregiato, il più pregiato dei vini, ci viene detto.
Grazie all’intervento di Maria, la fede dei discepoli nel Messia promesso inizia a crescere. I discepoli, essendo stati testimoni di questo miracolo caratterizzato da una tale profusione, da una generosità così sovrabbondante, arrivano a credere che Gesù sia lo Sposo promesso, il Messia. Le nozze, quindi, diventano il simbolo di qualcosa che va oltre, preannunciando l’ora del banchetto nuziale di Dio con il Suo popolo, iniziato con la venuta di Gesù.
La grande dignità del matrimonio
Cos’altro dobbiamo dedurre da questa storia, se non che Cristo ha un’alta considerazione del matrimonio, quell’istituzione umana che avrebbe elevato a sacramento?
Alla luce di questo miracolo, sembra giusto che San Paolo arrivi, a suo tempo, a paragonare il rapporto tra marito e moglie uniti in matrimonio a quello tra Cristo e la Sua Chiesa. «Mariti», scrive San Paolo, in uno dei numerosi passaggi in cui fa ricorso a questa metafora, «amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei» (Ef. 5,25).
In altre parole, l’unione tra moglie e marito è – o dovrebbe essere – così interamente impregnata da un amore oblativo, simile a quello di Cristo, da essere immagine di Gesù che ha donato la sua vita per la salvezza di tutti. Anche se San Paolo ha affermato la superiorità della verginità consacrata, nella quale si dona la propria vita tutta al servizio di Cristo e della sua Chiesa, egli riafferma più volte la somma bontà del santo matrimonio tra un uomo e una donna.
Nella sua esortazione apostolica Familiaris consortio del 1981, Papa San Giovanni Paolo II ribadisce il valore importante che Cristo stesso ha conferito al matrimonio nel miracolo di Cana. Nelle prime righe dell’enciclica, il Papa santo scrive che «il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità» (Familiaris consortio, 1).
Il Santo Padre cita poi Tertulliano, uno dei primi Padri della Chiesa, che parla del matrimonio nei termini più elevati, affermando:
«Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce, l’offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e il Padre ratifica?… Quale giogo quello di due fedeli uniti in un’unica speranza, in un’unica osservanza, in un’unica servitù! Sono tutt’e due fratelli e tutt’e due servono insieme; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi sono veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito (Tertulliano «Ad uxorem», II; VIII, 6-8: CCL I, 393 in Familiaris consortio, 13)».
Il matrimonio, in altre parole, è uno dei beni più grandi donati agli esseri umani. Attraverso il matrimonio, la separazione tra le persone viene superata e due anime si fondono in un’intima comunione di persone. Come osserva Papa San Giovanni Paolo II, «In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l’uno all’altra nella maniera più profondamente indissolubile. La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa» (Familiaris consortio, 13).
Libertà e benessere umano
Uno dei temi che riprendo spesso in questi articoli è che le cose che contribuiscono all’autentico sviluppo umano, ovvero ad una vita ricca e gioiosa, e le disposizioni della legge di Dio, sono la stessa cosa. Cioè, Dio non emana i suoi ordini in modo capriccioso, tali da “imporsi” su di noi, ma piuttosto ci regala leggi che ci elevano, portandoci a una versione di noi stessi più piena e autentica.
Nel nostro mondo moderno, ahimè, è spesso considerato assiomatico che la “legge”, che non è altro se non un insieme di regole imposte alle persone contro la loro volontà, soffochi la “libertà” e sia quindi d’intralcio alla felicità (poiché la felicità presuppone – o almeno così la nostra cultura presume – una libertà illimitata).
Una delle leggi stabilite da Dio, e costantemente affermate dalla Chiesa, è che i rapporti sessuali devono essere contenuti nel matrimonio e che il matrimonio stesso deve essere l’unione fedele e duratura di un uomo e una donna, aperta alla generazione di figli.
La nostra cultura si è ribellata a questa visione, affermando che la libertà (e quindi la felicità) consista solo nella prospettiva esattamente opposta: la sessualità deve essere “espressa” liberamente in qualsivoglia modo, e qualora qualcuno decida di sposarsi, questo matrimonio dovrebbe essere considerato duraturo tanto quanto i sentimenti individuali dei coniugi. Nel momento in cui uno o l’altro degli sposi desidera porre fine al matrimonio, allora così deve essere, senza che nessun obbligo o vincolo esterno possa o debba impedire che le loro strade si separino.
Come ha osservato Papa San Giovanni Paolo II, dopo aver elencato i vari modi in cui il matrimonio e la famiglia sono stati denigrati nel mondo moderno, «alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell’idea e dell’esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere». (Familiaris consortio, 6)
Gli studi confermano la correlazione tra matrimonio e felicità
Eppure, come nel caso di tanti mali morali perpetrati in nome della libertà e della felicità, la denigrazione del matrimonio non ha prodotto una maggiore libertà o felicità. Anzi, il contrario.
Questa è la realtà che viene clamorosamente affermata, ancora una volta, in un recente studio del ricercatore Sam Peltzman. Lo studio si basa sul General Social Survey (GSS), che dal 1972 ha chiesto a un campione rappresentativo di Americani la domanda «… [sei] molto felice, abbastanza felice o non molto felice?».
Sorprendentemente, è emerso che il più grande indicatore di felicità tra gli adulti americani è il loro stato civile. In media, gli americani sposati registrano ben 30 punti in più sulla scala della felicità rispetto alle loro controparti non sposate. «Lo stato civile è ed è stato un indicatore della felicità molto importante», scrive Peltzman. Così importante, infatti, che «nessuna successiva categorizzazione della popolazione produrrà una così grande differenza di felicità tra così tante persone».
È importante notare che il GSS ha rilevato che la percentuale degli Americani che si considera felice è in calo dall’inizio degli anni 2000. Eppure, secondo Petlzman, la maggior parte di questa diminuzione della felicità può essere attribuita al fatto che i tassi di matrimonio sono in calo. Come mostra questo grafico, le percentuali di matrimonio sono in caduta libera da decenni.
Molti giovani fuggono dal matrimonio, scegliendo invece le convivenze in serie o la fornicazione. Quelli che optano per il matrimonio, si sposano sempre più tardi. Inoltre, molti di quelli che si sposano dichiarano esplicitamente di non volere figli. Le ragioni per cui non ci si sposa o si pospone il matrimonio sono varie: tuttavia, in molti casi si possono ridurre al voler evitare gli importanti doveri che il matrimonio e i figli comportano e al volersi invece dedicare alla “cura di sé”, al far carriera, alla sicurezza finanziaria, ai viaggi o ai propri interessi.
Eppure, come chiarisce il sondaggio GSS, lungi dal produrre una maggiore felicità, questa concentrazione solipsistica sull’“io” e il rifuggire da impegno e responsabilità sono correlati a un crollo significativo dei tassi di felicità.
Riscoprire il matrimonio, trovare la felicità
Sposarsi non è l’unico modo per vivere una vita felice. Nostro Signore stesso non si è sposato, e questo è un fatto importante. Come afferma San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, «colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio» (1Cor., 7).
Eppure, il fatto che il voto di castità incarni la forma di vita più alta non significa che anche il matrimonio non sia molto importante. Nel suo primo miracolo pubblico a Cana, Gesù non solo ha manifestato l’ora messianica, ma ha anche affermato la dignità dello stato coniugale, in particolare quando è celebrato come sacramento da una coppia cristiana, che capisce che la chiamata all’interno del matrimonio è a un amore simile a quello di Cristo.
Vivere bene il matrimonio richiede grandi virtù da parte del marito e della moglie. Richiede che marito e moglie trascendano i propri interessi personali e mettano al primo posto l’interesse dell’altro. Solo in questo modo l’“unità” che si manifesta simbolicamente nella loro carne nell’unione coniugale si realizzerà pienamente in un’unità di cuori e di menti.
Quando un marito e una moglie si aprono alle grandi grazie del sacramento del matrimonio, sono in grado di trascendere la meschinità del proprio ego e di unirsi a un livello che non è possibile alla natura umana decaduta. In questa unione, essi diventano veramente “uno”, come Cristo e la sua Chiesa sono uno.
La libertà di scegliere la responsabilità
Il nostro mondo moderno ha voltato le spalle al matrimonio perché ha inaugurato il culto dell’ego. Il nostro mondo esalta apertamente l’ego individuale, isolato, che impone la propria volontà, a prescindere dal fatto che ciò contribuisca effettivamente al suo benessere e al suo fiorire. Si ritiene che “imporsi” sia l’unica cosa buona. Si ritiene che essere “liberi”, nel senso di essere soli, sia intrinsecamente migliore.
Eppure, ciò che molte anime sole stanno imparando, con loro grande dispiacere, è che la “libertà” senza vincoli e solitaria non è affatto una libertà. Dio ha dato agli uomini la libertà non solo per poter scegliere qualcosa, ma perché, potendo scegliere, potessero scegliere liberamente di amare: innanzitutto amare Dio e poi, amando Dio, poter amare i propri simili.
In altre parole, il senso di avere il dono della libertà è che possiamo legarci liberamente agli altri, proprio come Cristo stesso si è legato liberamente, fino a morire sulla croce per gli altri. La felicità non si trova, come pensa il nostro mondo moderno, rifiutando tutti i legami, tutte le responsabilità, tutti gli impegni. Si trova al contrario nello scegliere liberamente i legami che abbattono l’egoismo della nostra volontà e ci portano alla comunione con gli altri.
Non dovremmo avere bisogno dei grafici del General Social Survey che ci dicano quello che i saggi sanno da secoli: per essere felici, non bisogna cercare la felicità, ma piuttosto abbracciare la responsabilità. Mentre il nostro mondo si degrada sempre di più, i dati sono chiari: almeno una via d’uscita da questo abisso di abiezione è a nostra disposizione: ripristinare l’eminente dignità del matrimonio. Avere il coraggio di fare una promessa e di legarsi a un’altra persona, per trascorrere il resto della nostra vita imparando ad amare meglio.
Avendo assistito e officiato io stesso molti matrimoni felici e santi, posso facilmente immaginare la grande gioia che deve aver provato Nostro Signore, mentre si rallegrava della gioia degli sposi in quella festa a Cana, deliziandosi anche del frutto della generosità di Sua Madre. Questa è la grande bellezza e dignità del matrimonio.