San Giuseppe: Una riflessione sulla paternità di Dio
Di Don Francesco Giordano
(Originale in Inglese)
Di fronte alla crescente tendenza della “Cultura della Cancellazione”, la nostra fede ci mostra l’importanza della storia e della tradizione per il presente e il futuro. Mentre passeggiavo tra le colline di Callas, in Francia, ho parlato con il Vescovo Dominique Rey dell’importanza anche solo di prendersi cura di una tomba. Sua Eccellenza ha affermato che il fatto che le persone non si prendono cura della tomba di famiglia, è sintomo di un distacco dalle proprie radici che alla fine porta alla loro scomparsa. La sua diocesi è impegnata nelle guerre culturali che promuovono vita e famiglia. Tra le opere concrete che il Vescovo promuove c’è la celebrazione settimanale ogni mercoledì, di Messe votive di requiem, insieme alla benedizione del cimitero. Il rispetto per i nostri morti è, paradossalmente, rispetto per la vita, perché i cimiteri cristiani non sono necropoli (“città dei morti”) ma “luoghi di riposo” dove i corpi attendono il ricongiungimento finale con le loro anime.
Il valore della vita è ulteriormente compreso attraverso il valore della famiglia e il ruolo del padre e della madre nella trasmissione della vita. Dopo tutto, la trasmissione della vita e della cultura è il senso della tradizione, visto che la parola tradizione deriva dal verbo latino “tradere”, trasmettere. Nella diocesi di Fréjus-Toulon, il Santuario di San Giuseppe di Bessillon a Cotignac, dal clima mistico, si erge tra le dolci colline della Provenza, quasi come un nido d’uccello nel bosco, a ricordarci l’importanza della paternità.
Questo luogo di preghiera e di raccoglimento è stato creato a seguito di un’importante apparizione del Patrono della Chiesa universale. Il 7 giugno 1660, Gaspard Ricard, un giovane pastore, essendo assetato, era raccolto in preghiera sul monte Bessillon, quando gli apparve “un uomo di statura imponente”. Usando il dialetto provenzale, gli disse: “Io sono Giuseppe. Solleva questo masso e potrai bere”. Immediatamente Gaspard obbedì. Spostando un pesante masso che era vicino a lui, scoprì una sorgente da cui poté bere. Più tardi, otto uomini riuscirono a malapena a spostare lo stesso masso facilmente sollevato dal pio pastorello.
Il 31 gennaio 1661, il vescovo di Fréjus del tempo, Mons. Joseph Ondedei, certificò l’autenticità dell’apparizione e affidò il santuario ai sacerdoti dell’oratorio.
Dal contenuto del racconto possiamo trarre alcune importanti riflessioni sulla paternità di San Giuseppe e in particolare su come San Giuseppe ci aiuta ad essere padri.
In questa apparizione, San Giuseppe, padre della Sacra Famiglia, mostra la sua paternità principalmente in un modo: infondendo forza. Infatti, dà a Gaspard la forza di sollevare il masso per bere e dissetarsi. Questa è fondamentalmente la missione del padre: infondere forza.
Le persone forti infondono ordine, pace e coraggio e aiutano gli altri a portare a termine le loro opere. Tuttavia, questa forza non deve essere violenta o coercitiva. Deve essere una forza cristiana, cioè fortezza. Deve essere una forza dolce e pacifica. Troppo spesso oggi si confonde la forza con la violenza, la brutalità e l’aggressività. Piuttosto che l’aggressività, che ricerca lo scontro concreto, la Chiesa ci insegna che dobbiamo essere militanti. Infatti, la violenza esterna e l’aggressività sono spesso segno di fragilità interiore. Chi è forte cerca sempre di mantenere la pace e la calma e non si lascia turbare dalle difficoltà. Si può dire che la forza contiene in sé i seguenti tratti: maturità, calma, raziocinio, pazienza, coraggio, autocontrollo. E tutte queste sono qualità fondamentali per essere buoni padri.
Perché oggi è difficile trovare uomini che siano padri? Abbiamo detto che la forza è una virtù fondamentale per essere padri, ma è efficace se si appoggia a un’altra virtù: la speranza. Infatti, se non c’è la speranza di raggiungere un obiettivo, non c’è neanche la forza. È la speranza che mette in moto l’uomo perché lo indirizza verso il proprio fine. L’uomo che spera ha la certezza di raggiungere ciò a cui mira, ed è questa certezza che dà forza al suo cuore.
Ma la speranza sembra non interessare la società atea di oggi. Anzi, sembra che si faccia di tutto per non pensare più a un bene futuro, ma, incatenando sempre più l’uomo, questa società del consumo lo illude che se non trova qualcosa qui e ora (“hic et nunc”) non potrà essere felice. In questo modo, l’uomo rimane ingabbiato nel mondo e nei suoi problemi, poiché non ha più un Essere che lo trascende a cui rivolgersi. L’uomo moderno rimane prigioniero, non va più al di là di quello che vede, non pensa più alla possibilità di raggiungere la vera pace, la vera gioia, la vera soddisfazione che si può trovare solo in Dio.
San Francesco aveva ragione nel consigliare ai suoi frati di vivere come “pellegrini e forestieri in questo mondo”. È molto in linea con quanto scriveva anche San Paolo: “La nostra patria invece è nei cieli” (Filippesi 3, 20). Se poniamo il nostro fondamento sul mondo e affidiamo la nostra sicurezza ad esso, allora con esso siamo destinati a perire; se invece siamo di passaggio, significa che la nostra casa è altrove. Significa che abbiamo fondato la nostra casa sulla roccia, e questa roccia è Dio stesso. Questo significa che ciò che facciamo qui non ha alcun significato? Il paradosso è che ciò che facciamo qui ha un significato perché è l’inizio della vita eterna. È parte di essa. Per questo motivo, la Fede è il fondamento della Speranza nei frutti della vita eterna, e noi viviamo questa Fede nella Carità di Cristo, innestata in Nostro Signore nello Spirito Santo e nel Corpo Mistico vivente, la Chiesa. D’ora in poi l’uomo è chiamato a dimorare in Lui. Infatti, in Lui possiamo essere veramente ciò che siamo. Mentre implorava che Cristo lo perfezionasse con il martirio, Sant’Ignazio martire disse: “Fammi ricevere la luce pura! Lì sarò un uomo…”, mostrando come è in Lui che un padre è veramente tale.
Eliminando il fine ultimo dell’uomo, che è Dio, il mondo ha eliminato anche la speranza, ed eliminando la speranza ha privato l’uomo della forza necessaria per reagire alle difficoltà. La speranza, infatti, è il fondamento del coraggio e della forza. Il coraggio aumenta con la consapevolezza che c’è qualcuno o qualcosa al di fuori di noi che ci aiuta e protegge. Per esempio, un uomo che si butta da un aereo è coraggioso perché confida e spera che il suo paracadute si apra. Allo stesso modo, un uomo che sa per Fede (e fiducia) in Dio, che suo Padre è lì per lui, correrà certamente più rischi e avrà più speranza nel futuro di un uomo che non è consapevole di questa figura di Padre.
Mentre il mondo ci offre la morte, la virtù della speranza ci indirizza invece verso l’immortalità; il mondo si illude di essere felice, con la speranza al contrario noi abbiamo la certezza che, se gli obbediamo, Dio non ce la negherà. Se oggi è difficile trovare un padre che incarni veramente le qualità di un padre, è perché il mondo ci ha privato del Padre nostro che è nei cieli.
Oggi San Giuseppe è più necessario che mai. Infatti, appare a Gaspard come una “figura imponente”, simbolo dell’onnipotenza di Dio Padre. È proprio questa la sua missione: riflettere la paternità di Dio.
San Giuseppe è stato un padre eccellente perché ha sempre cercato di assomigliare a Dio Padre, vivendo un’intima unione con la sua Volontà. È questo rivolgersi al Padre e alla sua volontà che salva l’uomo. Quando ci allontaniamo dal Padre, allora vacilliamo. Come Nostro Signore ha fatto la volontà del Padre, anche noi dobbiamo seguire questo esempio.
San Giuseppe si aspettava tutto da Dio e Gli chiedeva tutto, Gli obbediva prontamente, senza indagare i disegni che Dio aveva per lui. Inoltre, San Giuseppe è stato un ottimo padre perché era in stretto, anzi strettissimo, contatto con il Figlio, Gesù, che gli ha permesso di esercitare la sua paternità, dandogli tutto l’amore di cui era capace, insegnandogli a camminare, a lavorare, assecondandolo nella sua volontà di umiliarsi. Questo Grande Santo, dunque, vuole dirci che se vogliamo davvero essere padri autentici dobbiamo lasciarci istruire da Dio stesso, sperando e confidando solo in Lui.