I figli e una vita piena di senso
Di Don Shenan J. Boquet
(Originale in Inglese)
Il tasso della natalità in America ha raggiunto il suo punto più basso di sempre. Ora, un nuovo sondaggio suggerisce che ci sono poche ragioni per sperare che questa tendenza presto si inverta.
Secondo il sondaggio di Pew Research, il 44% di chi non è genitore sostiene che non è molto, né per niente probabile che lo diventi. Questo segna un cambiamento significativo rispetto al 2018, quando il Pew ha condotto un sondaggio simile, in cui solo il 37% di chi non è genitore aveva affermato che difficilmente lo sarebbe diventato.
Il fatto che un numero significativamente minore di persone abbia intenzione di mettere al mondo figli rispetto a pochi anni fa, non è di buon auspicio per la situazione demografica di questo paese.
I dati pubblicati all’inizio di quest’anno hanno rilevato che nel 2020 le nascite sono scese per il sesto anno consecutivo, a solo 56 nascite per 1.000 donne. Questo è circa la metà del tasso di natalità degli anni Sessanta. Nel frattempo, il tasso di fertilità totale, che il numero medio di figli per donna, è sceso a solo 1,6. Questo è molto al di sotto del tasso necessario solo per sostituire la popolazione, ossia 2,1 bambini nati per donna.
Perché la gente non vuole avere figli?
Ci sono enormi implicazioni economiche, sociali e politiche quando una popolazione non rimpiazza le vecchie generazioni. Naturalmente, i ricercatori si sforzano di capire perché sempre più adulti si rifiutano del tutto di diventare genitori.
Anche se il Pew ha chiesto agli intervistati perché non vogliono avere figli, le risposte non sono state particolarmente utili. Il gruppo di gran lunga più consistente di persone (56%) ha dato la spiegazione che “semplicemente non desidero avere figli”. Il resto ha dato altre risposte, tra cui motivi di salute (19%) e finanziari (17%).
È interessante notare che, mentre molti articoli sul calo del tasso di fertilità tendono a sottolineare la crescente preoccupazione per il cambiamento climatico e l’ambiente, solo un piccolo numero (5%) degli intervistati ha scelto “motivi ambientali, tra cui i cambiamenti climatici” come ragione per non voler avere una prole.
Dati un po’ più esplicativi provengono da un sondaggio del 2018 del New York Times, che ha chiesto a un numero significativo di persone senza figli perché non vuole averne. In questo caso, non è stato posto il limite agli intervistati di una sola risposta, il che ci permette di avere un quadro più completo delle motivazioni dietro la scelta di non avere bambini.
La ragione di gran lunga più gettonata (64% degli intervistati) è stata che “prendersi cura dei bambini costa troppo”. Infatti, sei delle otto risposte più diffuse degli intervistati alla domanda perché non volessero figli, hanno a che fare con motivi finanziari, tra i quali la frequente “non posso permettermi altri figli”. È interessante notare che in questo sondaggio un molto più grande 33% degli intervistati ha citato il “cambiamento climatico” come motivo per non avere una prole. Per me, questo suggerisce che mentre le preoccupazioni per l’ambiente sono un fattore che contribuisce al motivo per cui le persone non vogliono avere figli, per la maggior parte delle persone non costituiscono la ragione principale.
In generale, molte delle risposte al sondaggio del New York Times possono essere ricondotte a preoccupazioni per l’incertezza del futuro, specialmente gli oneri finanziari che essere genitori comporta. Tuttavia, altre risposte – per esempio, “volere più tempo libero” – suggeriscono anche ragioni più puramente egoistiche per evitare di mettere al mondo bambini.
Il fatto che così tante persone abbiano citato ragioni finanziarie per non avere figli potrebbe essere preso come prova che il problema non sia necessariamente la scelta di non avere figli, ma piuttosto la crescente paura dell’instabilità economica e politica. In tal caso, la soluzione al calo delle nascite sarebbe quella di mettere a posto l’economia. Questo, tuttavia, mi sembra quasi grossolanamente semplicistico.
È certamente vero che nell’ultimo decennio e mezzo abbiamo vissuto momenti difficili. La crisi finanziaria del 2008 ha significato per molte persone una cospicua perdita. Attualmente, gli Americani hanno un livello di debito senza precedenti. E, naturalmente, la pandemia di COVID ha smascherato le vulnerabilità del nostro stile di vita.
Allo stesso tempo, però, dobbiamo stare attenti a non sopravvalutare le difficoltà del nostro tempo. Infatti, in Occidente in questo momento (sì, anche nel mezzo di una pandemia) viviamo in una delle società più confortevoli, ricche e sicure di tutta la storia umana. La povertà e la scarsità di cibo sono a livelli storicamente bassi. L’assistenza sanitaria è più avanzata e più ampiamente disponibile che mai. Le case in cui viviamo apparirebbero sontuose alla maggior parte dei nostri antenati.
Molti dei nostri antenati hanno affrontato tassi assai più alti di mortalità materna, mortalità infantile e malattie diffuse, e minacce molto più grandi di carestia e fame. Eppure, sarebbe difficile trovare molte testimonianze (tranne, forse, nelle società più decadenti, come la Roma del tardo impero) di adulti che volessero sfuggire alla genitorialità. Infatti, la maggior parte degli adulti vedeva nel diventare genitori la chiave per vivere una vita veramente ricca di significato.
Allora, cosa è cambiato? Beh, la contraccezione, per esempio. Eppure, la contraccezione è ampiamente disponibile da decenni ormai, ma negli Stati Uniti, il tasso di natalità ha iniziato a crollare dopo il 2008 e non è più risalito, nonostante la ripresa economica. Questo suggerisce che qualcosa di molto più importante della contraccezione o dell’insicurezza finanziaria è in gioco… qualcosa di psicologico, filosofico e, in definitiva, spirituale.
Non avere figli è una scelta egoistica
In un’udienza del mercoledì nel 2015, Papa Francesco ha affrontato questa la questione. “Non avere figli è una scelta egoistica”, ha dichiarato senza mezzi termini.
“La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce!”, e poi ha aggiunto: “una società avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa”.
La vita è sempre stata piena di incertezze, difficoltà e sofferenze. Eppure, anche in tempi molto più difficili, uomini e donne si sono sposati e hanno accolto la vita a braccia aperte, riconoscendo che pur con tutte le sfide che l’essere genitori comporta, una nuova vita “ringiovanisce” e “arricchisce” l’esistenza.
No, non è che viviamo in tempi particolarmente difficili. La verità è, come ha detto Papa Francesco, viviamo in una società depressa, una società che è stata privata del suo vigore, che ha scelto la via egoistica e sicura, piuttosto che la strada coraggiosa del rischio e del dono di sé. La questione riguarda le nostre priorità.
Troppe persone oggi vivono nell’illusione che la via della felicità consista nel condurre un’esistenza sicura, senza rischi, senza disagi e senza responsabilità.
Nel suo famoso libro Man’s Search for Meaning, lo psicologo ebreo Viktor Frankl, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, ha scritto: “Chi ha un ‘perché’ per vivere, può sopportare quasi ogni ‘come’”. Cioè, se una persona ha uno scopo per cui vivere, può affrontare le sofferenze e le incertezze della vita a testa alta. In effetti, è possibile trovare un significato nella vita anche nel mezzo alla sofferenza, riconoscendo che se si affrontano le sfide della vita con coraggio e fiducia, si può diventare più forti, e usare i doni ricevuti per dare coraggio e conforto agli altri, e per costruire qualcosa di duraturo usando il proprio limitato tempo sulla terra in modo ricco di significato.
In un altro bellissimo passaggio, Frankl ha scritto: “In definitiva, l’uomo non dovrebbe chiedere quale sia il significato della sua vita, ma piuttosto deve riconoscere che è lui ad essere interrogato. In una parola, ogni uomo è interrogato dalla vita; ed egli può rispondere alla vita solo rispondendo della propria vita; alla vita può rispondere solo essendo responsabile”. (Traduzione nostra).
Genitorialità e responsabilità
Questa parola, “responsabile”, mi ricorda il titolo della famosa opera filosofica di Papa San Giovanni Paolo II sul matrimonio e la sessualità, Amore e responsabilità. In quel libro, il Papa Santo afferma che l’amore, in particolare l’amore fisico, raggiunge il suo scopo trascendente solo quando abbraccia le responsabilità che ne derivano.
Tra queste responsabilità c’è quella verso il proprio coniuge, l’impegno affinché l’amore sessuale si traduca in uno sforzo verso l’autentico dono di sé all’altro. Tuttavia, inseparabilmente legata all’amore sessuale, c’è anche la responsabilità verso i figli che possono essere concepiti attraverso l’unione sessuale. E questa responsabilità si manifesta nella coraggiosa apertura alla vita.
“I rapporti sessuali tra l’uomo e la donna, nel matrimonio, hanno pieno valore di un’unione delle persone solo quando presuppongono una accettazione della possibilità della procreazione.”, ha scritto il Santo Padre in quel libro. E ha aggiunto: “Se si esclude dai rapporti coniugali radicalmente e totalmente l’elemento potenziale di paternità e di maternità, si trasforma per ciò stesso la relazione reciproca delle persone. L’unione nell’amore slitta verso un godimento comune, o, per meglio dire, verso quello dei due partners”.[1]
Anche i Padri del Concilio Vaticano II hanno affermato questa inseparabilità dell’unione sessuale e della procreazione nella Gaudium et Spes: “Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi”. (Gaudium et Spes n. 50, corsivo nostro).
Notate la seconda frase. Il mondo moderno vede gli insegnamenti della Chiesa sulla sessualità come costrittivi e legalistici. Vuole il sesso per puro piacere, separato dalla responsabilità, emancipato persino dai vincoli posti alla sessualità dalla natura stessa. Eppure, ciò che Frankl, Giovanni Paolo II e i Padri Conciliari affermano è che, alla fine, il piacere autentico – nel senso di felicità, o ciò che i filosofi chiamano “beatitudine” – non può essere raggiunto senza rispondere alla chiamata alla responsabilità verso qualcosa di più alto di noi stessi. Una volta che avviene questa trasformazione, allora i figli non sono più visti semplicemente come un lusso costoso e spesso fastidioso, ma piuttosto come il “dono più eccellente” del matrimonio, che danno molto più di quanto prendono.
Un’economia sana è una cosa buona e desiderabile. Ma dubito che una maggiore sicurezza finanziaria possa fare molto per risolvere i nostri problemi demografici. Anche il più ricco dei ricchi può passare le sue giornate a preoccuparsi dell’insicurezza finanziaria. L’unica via d’uscita dalla paura è la speranza, che si esprime nel coraggio ostinato di correre dei rischi nella ricerca del bene.
Diventare genitori è una delle cose più grandi e belle che possa succedere agli esseri umani. I genitori che hanno imparato a donare senza pensare ai costi, sono spesso anche i più felici, deliziati dalle gioie sottili e segrete derivate dal prendere parte all’opera della Creazione. Per i genitori cattolici, c’è la gioia aggiuntiva di sapere che – a Dio piacendo – un giorno passeranno tutta l’eternità alla presenza di Dio con i figli che hanno cresciuto per amarLo.
Finché la nostra cultura non imparerà questa profonda verità che l’amore e la responsabilità sono inseparabili, e che l’amore sterile è destinato a morire, vedremo nascere sempre meno bambini. Ma cosa potrebbe esserci di più triste di una cultura senza figli, in cui i nostri parchi giochi sono vuoti, mentre gli adulti passano le loro vite impegnati in una serie di relazioni sessuali sterili, egoiste ed egocentriche nella vana ricerca della felicità, mentre il percorso verso una vita significativa è stato sempre davanti ai loro occhi?
Quello di cui abbiamo bisogno non è più ricchezza, ma una rinascita spirituale. Solo allora i giovani adulti troveranno il coraggio di abbracciare la grande avventura della genitorialità, ponendo tutta la loro fiducia nella Provvidenza di Dio.
[1] Karol Wojtyla, Amore e responsabilità, Casa Editrice Marietti, Genova 1999, pag. 168-169.