Legge 194: è tempo di difendere la vita dei concepiti
di Luca Marcolivio ( Fonte : www.frammentidipace.it )
A 40 anni esatti dall’approvazione della legge 194, è arrivato il momento di tornare a difendere e sostenere il diritto alla vita del nascituro.
La legge 194, che autorizza l’interruzione volontaria di gravidanza, ha impedito la nascita di 6 milioni di bambini, svolgendo un ruolo significativo nel decremento demografico.
Una modifica della legge 194, unita alla piena applicazione della prima parte (quella preventiva) della legge stessa, è quanto auspicano le principali associazioni pro-life italiane, sostenute da un discreto numero di parlamentari.
Se n’è discusso presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati nel corso del dibattito “La legge sull’aborto in Italia a quarant’anni dalla sua introduzione. Bilancio e valutazioni”, introdotto e moderato dalla presidente del Movimento per la Vita (MpV), Marina Casini, e dal deputato Alessandro Pagano.
Nel quarantennale della legge, ha osservato Marina Casini, il dato drammatico è quello di sei milioni di bambini che non hanno avuto la possibilità di nascere.
Tuttavia c’è anche un risvolto che dà fiato alla speranza: grazie all’opera dei Centri di aiuto alla vita, con i loro volontari, “200mila bambini sono nati, grazie a una cultura della vita alternativa alla cultura dello scarto”.
Il più importante “sì alla vita” è comunque quello delle mamme stesse, perché “nelle donne c’è un coraggio innato nell’accoglienza dei figli: un coraggio che ha solo bisogno di essere sostenuto”, ha aggiunto la presidente del MpV.
Cambiare la legge 194 significa “tutelare i più indifesi”, ovvero i nascituri, nel loro diritto a venire al mondo. La Casini ha suggerito una “profonda riforma dei consultori” in senso pro-life, ricordando che anche la scienza ha riconosciuto la natura di “vita umana” sin dal momento del concepimento.
Secondo l’onorevole Antonio Palmieri, vi sono “delle evidenze di cui bisognerà tenere conto nei prossimi 40 anni”, la prima delle quali è la “disapplicazione” della parte preventiva della legge 194, mentre, al contrario, è stata incoraggiata la mentalità per la quale “la donna si libera con l’aborto” e non “dall’aborto”.
La seconda evidenza consiste nel fatto che, con 6 milioni di cittadini in più, il nostro Paese sarebbe stato profondamente diverso.
Secondo Francesca Romana Poleggi, membro del Comitato direttivo di Pro Vita Onlus e direttore editoriale di “Notizie Pro Vita”, l’approvazione della legge 194 avvenne anche grazie a una serie di “falsi miti”, come quello secondo cui, con la legalizzazione, si sarebbe eclissato l’aborto clandestino – le cifre degli anni ‘70, oltretutto, erano estremamente gonfiate – e, più in generale, sarebbe calato il numero degli aborti.
Francesca Romana Poleggi ha spiegato che in Polonia e in Cile, dove le leggi sono più restrittive, anche i tassi di mortalità materna sono più bassi.
Eugenia Roccella, giornalista, scrittrice e deputata nelle due precedenti legislature, già dieci anni fa aveva proposto al Parlamento di “fare il tagliando” alla legge 194 per renderla più adeguata “alle condizioni sociali che aveva prodotto”: un auspicio oggi ancora più attuale.
Uno sguardo sulla problematica dell’aborto nei Paesi in via di sviluppo è stato offerto da Emmanuele Di Leo, presidente di Steadfast onlus, operativa anche in Africa, continente dove i grandi organismi internazionali cercano di “imporre ideologie contro la vita”, condizionando gli aiuti umanitari alla diffusione della contraccezione e dell’aborto, secondo una logica di neocolonialismo. Anche per questo sarebbe necessaria una “azione preventiva” sugli ospedali africani e non solo, per sostenerli nelle politiche a favore della vita.
L’onorevole Paola Binetti ha sottolineato l’influenza delle “fake news” nell’approvazione della legge 194, rimarcando anche la necessità di una politica natalista propositiva, in cui, oltre alla riduzione dell’aborto, si promuova la “tutela sociale della maternità”.
Sono poi intervenute due giovani neodeputate: Elena Murelli, che ha evidenziato l’aumento dell’aborto tra le minorenni e le immigrate, e Giorgia Latini, che si è soffermata sulla diffusione dell’“aborto farmacologico” attraverso l’uso della pillola del giorno dopo (che rende particolarmente difficile censire l’effettivo numero di interruzioni di gravidanza).
Quest’ultima pratica è stata descritta dall’europarlamentare Carlo Fidanza come un modo per “rendere banale e accettabile” l’aborto, come se si trattasse di “acquistare un Aulin in farmacia”.
La pillola del giorno dopo chiama in causa i farmacisti, un tema per il quale il senatore Simone Pillon ha annunciato la presentazione di un disegno di legge a tutela dell’obiezione di coscienza.
Da parte sua, Gian Luigi Gigli, neurologo, già parlamentare e presidente del Movimento per la Vita, ha ribadito la necessità di “non lasciare sole le donne” davanti alla drammatica scelta per la vita dei loro figli, tutelando il loro vero diritto: quello a “non abortire”.
L’ambiguità del legislatore e della giurisprudenza è stata infine messa in luce da Filippo Vari, ordinario di diritto costituzionale all’Università Europea di Roma e vicepresidente del Centro Studi Livatino: sul piano teorico, ha osservato il giurista, “si riconoscono i diritti dell’embrione ma non li si tutela”.
Fintanto che non ci saranno le condizioni per l’abolizione della 194, ha aggiunto Vari, sarà “fondamentale la massima unità nel mondo pro-life”, affinché le interruzioni volontarie di gravidanza possano ulteriormente diminuire e tornino ad aumentare le nascite.