La tragica ironia della chiusura di Toys “R” Us
Di Don Shenan J. Boquet
La vita è piena di ironia.
Sto pensando al recente annuncio di Toys “R” Us che chiuderà tutti i suoi negozi.
Il fatto che la catena di giocattoli sia stata costretta a chiudere a causa di problemi finanziari non è una sorpresa. Nell’era di Amazon, molti negozi non virtuali stanno fallendo, incapaci di competere per varietà dei prodotti e convenienza con i rivenditori che commerciano grazie all’economia virtuale. Eppure, anche se questo è parte delle motivazioni addotte da Toys “R” Us per la sua chiusura, oltre ai debiti e all’aumento del costo della manodopera, esiste anche un’altra spiegazione molto più significativa.
“La maggior parte dei nostri clienti finali sono neonati e bambini”, ha spiegato la società in un recente documento finanziario, e “di conseguenza, le nostre entrate dipendono dai tassi di natalità nei paesi in cui operiamo”.
In altre parole. Niente bambini, niente giocattoli. Niente giocattoli, niente Toys “R” Us.
In quello stesso documento, Toys “R” Us ha continuato: “Negli ultimi anni, il tasso di natalità di molti paesi è diminuito o fermato … Un continuo e significativo declino nel numero di neonati e bambini in questi paesi potrebbe avere un notevole effetto negativo sul nostro bilancio”.
Ed è esattamente quello che è successo.
Nel 2015, negli Stati Uniti, il tasso di fertilità totale (TFT), cioè il numero di bambini che la donna media avrà nel corso della sua vita, è sceso a 1,84, ben al di sotto del livello di sostituzione di 2,1 e meno di un terzo del tasso degli anni Sessanta (3.7).
Una morte autoinflitta
Ma veniamo all’ironia. Per anni, Toys “R” Us ha elargito donazioni a Planned Parenthood, proprio come Target e Starbucks e molte altre potenti aziende. È quello che oggi fanno le aziende impegnate nel sociale e di orientamento “progressista”. Ma il caso di Toys “R” Us, è l’esempio assolutamente comprensibile di un’azienda che ha letteralmente donato soldi per fallire.
Planned Parenthood, ovviamente, uccide direttamente circa 300.000 cittadini americani non nati ogni anno, in altre parole 300.000 dei clienti per età, di Toys “R” Us. Considerando tutti i dati, ci sono stati, secondo una stima prudente, circa 60 milioni di bambini non nati abortiti dalla Roe v. Wade. Immaginate se questi bambini fossero sopravvissuti alla violenza dell’aborto, si fossero sposati e avessero avuto figli? Non solo la popolazione americana sarebbe più consistente, ma ci sarebbe un numero enorme di clienti per Toys “R” Us.
Purtroppo, Toys “R” Us non è la sola a commettere un suicidio economico sostenendo finanziariamente l’organizzazione e l’ideologia che sta eliminando alla radice le stesse persone da cui dipende il suo futuro.
Il mese scorso, il Congresso (negli U.S.A., ndt) ha approvato un nuovo bilancio preventivo che garantisce oltre 500 milioni di dollari a Planned Parenthood. Questo regalo da mezzo miliardo di dollari dalle nostre tasche per sostenere la distruzione della prossima generazione è una vecchia abitudine, e nonostante tutti i loro voti contrari, i Repubblicani purtroppo non sono ancora riusciti a interrompere questa immissione di denaro nel colosso dell’aborto. Intanto, le società private hanno donato altri 530 milioni di dollari nel 2016-17.
Alla fine, noi, contribuenti e consumatori che sosteniamo queste società liberali con i nostri acquisti, diamo oltre un miliardo di dollari l’anno come donazione a sostegno di Planned Parenthood, il cui scopo principale è impedire la nascita dei cittadini dei quali il nostro paese ha disperatamente ha bisogno per farli lavorare e pagare loro le tasse che mantengono la nostra economia e il governo.
Se questa non è ironia, non so proprio cosa sia.
Il Washington Post, tra tutti, ha recentemente messo in evidenza questa tragica ironia con un’analisi molto acuta.
Disegnando un grafico che ha messo il tasso di natalità degli ultimi 12 anni a confronto con gli introiti del gigante del giocattolo nello stesso lasso di tempo, Andrew Van Dam del Post ha scoperto che i due grafici erano quasi immagini speculari l’uno dell’altro: quando le nascite diminuivano, gli introiti di Toys “R” Us diminuivano; quando le nascite aumentavano, gli introiti aumentavano.
Questo non è sorprendente; ma anche così, la chiarezza del rapporto nella forma visiva dei grafici è alquanto sorprendente. Ma poi Van Dam ha sottolineato l’ovvio: “Toys “R” Us è focalizzata sui bambini, quindi avverte la crisi dovuta al calo delle nascite molto prima del resto dell’economia”, ha scritto. “Ma è solo una questione di tempo prima che le tendenze che hanno fatto fallire il problematico produttore di giocattoli mettano alle corde le aziende che si rivolgono ai consumatori di tutte le età”.
Starbucks non vende caffè ai bambini. Ma vende il caffè agli adulti che una volta sono stati bambini. E se Planned Parenthood ha successo nel ridurre con la sua opera omicida il numero di bambini, ci sono meno bevitori di caffè che possono mantenere a galla Starbucks. Toys “R” Us avverte prima il terremoto demografico, essendo l’azienda più vicina all’epicentro dell’inizio della vita; ma tutti gli altri prima o poi lo avvertiranno.
La cosa peggiore, continua Van Dam, è che questo è un ciclo che si autoalimenta. Se questa generazione è meno numerosa della precedente, perché sempre meno genitori hanno figli, la generazione successiva sarà ancora meno numerosa. E in un’economia organizzata in dipendenza dalla crescita, questa è una brutta notizia.
“Alla fine”, ha concluso, “Toys “R” Us sarà solo la prima di molte altre diverse aziende che affrontano la stessa dura verità demografica: la crescita economica è estremamente difficile senza crescita demografica”.
Esportare il suicidio sociale
Ad aggiungere tragica ironia a tragica ironia, c’è il nostro governo e molti dei nostri cittadini più abbienti, che non si accontentano di uccidere il nostro futuro o di impedire che gli venga data la vita, usando metodi contraccettivi: sono anche decisi a esportare morte e contraccezione in altri paesi che sono ancora più dipendenti di noi da una popolazione sana.
Se si dà un’occhiata al piano quinquennale di International Planned Parenthood si ha un’idea della portata sconvolgente delle ambizioni, se questo è proprio il termine giusto, degli zeloti anti-vita: convincere 100 paesi a sostenere “i diritti sessuali e riproduttivi” (contraccezione, aborto, ecc.); prendere di mira specificamente svariati milioni di giovani con un’educazione sessuale esplicita, e, dopo averli incoraggiati a rivendicare i loro “diritti riproduttivi”, mettere a loro disposizione “i servizi di salute sessuale e riproduttiva” di cui avranno inevitabilmente bisogno per risistemare il disastro dei loro corpi distrutti; ed elargire due miliardi di cosiddetti servizi.
E noi diamo a Planned Parenthood miliardi di dollari in finanziamenti privati, aziendali e governativi per realizzare queste minacce. Non contenti del nostro stesso suicidio, siamo determinati ad invogliare gli altri a gettarsi con noi dalla scogliera del suicidio demografico.
Recentemente ho visitato due paesi, Zimbabwe e Uganda, ed ero sconvolto nel vedere come un gruppo di ricche potenze straniere stia diffondendo l’idea tra popolazioni completamente povere che la loro risorsa più preziosa – i loro figli – sia l’unica cosa che devono evitare con tutti i mezzi, omicidio compreso.
Nello Zimbabwe e in paesi simili, tutto quello che Planned Parenthood e gli altri controllori della popolazione fanno è trasformare le famiglie numerose e povere in famiglie piccole e povere, senza offrire cambiamenti sostanziali. E un paese composto da famiglie piccole e povere, è un paese povero senza speranza né futuro.
Naturalmente, le considerazioni economiche non sono qui ovviamente l’aspetto più importante. Se l’ideologia omicida di Planned Parenthood ha danneggiato o aiutato l’economia è un’altra questione, perché l’omicidio è sempre e dovunque un male, indipendentemente dalle conseguenze. Eppure, se la storia ci ha insegnato qualcosa, è che a lungo termine il male non paga mai.
Il politicamente e socialmente corretto esercita un tale tremendo potere sulle aziende americane, che Toys “R” Us è stata disposta a “sterminare” i futuri clienti per un “corretto comportamento aziendale” sostenendo un’ideologia di “libertà” radicale, un’ideologia che promette molto a breve termine, ma non guarda al lungo termine. Ora anche Toys “R” Us è morta, vittima della cultura della morte. Questo è quello che fa la cultura della morte: uccide.
Non sono contento della scomparsa di Toys “R” Us. C’è qualcosa di bello nell’industria dei giocattoli, l’affermazione della gioia di una nuova vita e l’intrinseca bontà e innocenza del gioco umano. Ma la prendo come un presagio: uno tra i molti segni che i nodi della cultura della morte sono venuti al pettine, e che nel nostro mondo c’è il bisogno urgente di una cultura della vita che dia vita, speranza, una prospettiva sul futuro, bellezza, sacrificio di sé, e che sia ricca d’amore.