ASPAC: una grande occasione per crescere nella difesa della vita
di Serenella Verduchi
Si è svolta dal 24 al 26 novembre 2017, a Bangkok, Tailandia, ASPAC, la più grande conferenza pro-life dell’Asia sponsorizzata da Human Life International (HLI). Si svolge ogni due anni e quest’anno si sono registrate presenze da 21 nazioni da tutto il mondo, dalla Malesia al Kazakistan, dalla Croazia all’India.
Il tema di quest’anno è stato: “Prendi il largo: la difesa della vita e della famiglia, speranza del mondo morente”. Tra le 350 persone presenti, c’erano il cardinale emerito della Tailandia, Sua Eminenza, il cardinale Michael Michai Kitbunchu, tre arcivescovi, due vescovi, 30 sacerdoti, 18 suore, 14 seminaristi e altri dirigenti laici. Era presente anche Mons. Andrea Ciucci, Segretario Coordinatore per la Pontificia Accademia per la Vita, che ha presentato una relazione intitolata “Trasformare l’umanità dall’interno e rinnovarla”. Inoltre, ha tenuto il discorso di apertura lavori intitolato “La causa dell’uomo e della vita riguarda tutti”, a nome di Sua Eccellenza, l’Arcivescovo Vincenzo Paglia, che non è potuto essere presente.
Questa conferenza è stata trasmessa in diretta su Facebook. HLI è anche molto grata a Caritas Thailand e ai Padri Camilliani, che hanno contribuito a organizzare l’evento.
Preghiera e azione
Ogni giornata iniziava con la Messa e terminava con l’Adorazione del Santissimo Sacramento. Questa grazia è il “carburante” che fa muovere le montagne! Poi ogni giorno era pieno di conferenze che trattavano i vari temi in difesa della vita. Nell’arco di tre giorni, sono state fatte un totale di 20 conferenze e più di 11 sessioni aggiuntive.
Queste ultime si svolgevano simultaneamente in differenti sale, da vari oratori che affrontavano argomenti diversi. I partecipanti hanno quindi potuto scegliere la sessione più interessante per loro: pro-famiglia o pro-vita.
Don Shenan Boquet, Presidente di HLI, ha tenuto un discorso, il secondo giorno del Congresso, intitolato “La rilevanza ininterrotta del messaggio di Fatima nella battaglia per la vita e la famiglia”.
Il Dr. Joseph Meaney, direttore del coordinamento internazionale di HLI ha trattato de: “L’importanza della coscienza nel mondo moderno e la difesa della famiglia e della fede contro le opinioni errate di coscienza” mentre Don Francesco Giordano, direttore dell’ufficio di Roma di HLI, ha parlato della “Rivoluzione culturale, come minaccia alla famiglia e alla società … dovremmo preoccuparci”. HLI spera di pubblicare presto alcuni di questi discorsi online, a beneficio di coloro che non sono stati in grado di essere presenti a Bangkok.
Uno dei tanti benefici che derivano da questi grandi incontri ASPAC, è l’opportunità di scambiare idee, formare legami e sostenersi a vicenda l’un l’altro, con l’intento di trasmettere la missione a sostegno della Fede, della Vita e della Famiglia. La nostra “famiglia di HLI” comprende sia coloro che hanno partecipato per la prima volta ad ASPAC sia coloro che hanno partecipato più volte, alcuni dei quali per diversi anni.
È stato annunciato che il XXII Congresso Internazionale di Asia e Pacifico su Fede, Vita e Famiglia (ASPAC) si terrà in Kerala, India. L’annuncio è stato accolto con grande entusiasmo.
Qui di seguito riportiamo il discorso di apertura dell’ Arcivescovo Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia.
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Eccellenza, professori, carissimi amici,
è con grande gioia che, con queste mie parole, inauguro il 21st Asia-Pacific Congress of Human Life International (ASPAC) on Faith, Life and Family. Avrei dovuto essere presente di persona, per conoscervi, guardare i vostri volti, salutarvi e ringraziarvi uno a uno per il grande lavoro che fate in diversi paesi asiatici, a favore della vita e della famiglia. Purtroppo nuovi impegni in Vaticano hanno reso impossibile questo incontro. Mi spiace veramente.
Con queste mie parole che vi giungono vorrei sostenervi e aiutarvi in questa missione che vivete. Mi permetto di farlo con tre riflessioni che, mi auguro, possano ben introdurvi ai lavori che vi attendono.
Prendersi cura della famiglia
Conosciamo tutti la complessità del momento storico che stiamo vivendo. Ed è ben nota a tutti noi la condizione a volte drammatica nella quale vivono le nostre famiglie. E possiamo dire che la famiglia è in una crisi profonda, certamente in occidente: l’aumento dei divorzi, la crescita delle nascite extraconiugali, la moltiplicazione delle famiglie monogenitoriali, la riduzione del numero di matrimoni sono solo i fenomeni più evidenti. Al punto che qualcuno si domanda se non sia arrivato il momento di poter fare a meno della famiglia. In tutto il mondo, seppur con forme e dimensioni diverse, iperindividualismo e ipertecnicismo stanno mettendo sotto pressione questo fragile organismo (e non solo) rischiando di scardinarlo in maniera pericolosissima. Le conseguenze negative dal punto di vista dell’organizzazione sociale sono sotto gli occhi di tutti: dalla crisi demografica che cresce con il benessere economico ai fallimenti dei percorsi di socializzazione e di educazione, dall’abbandono degli anziani al diffondersi di un disagio affettivo che arriva fino a scatenare la violenza, dal mancato riconoscimento del ruolo e della dignità della donna alle forme di sfruttamento economico e sessuale dei bambini.
Mi chiedo: la crisi che la famiglia sta traversando non può essere però anche una crisi di crescita? Penso che dipenda da noi. Dovremmo essere molto più attenti al desiderio profondo degli uomini e delle donne di oggi. Infatti, nonostante l’ostile contesto culturale, la gran parte delle persone desidera una famiglia, considerata il luogo centrale per la propria vita. Le statistiche sono inequivocabili: la famiglia è in cima al desiderio di tutti. Anche se la cultura tenta in ogni modo di scardinarla in maniera profonda. Ma credo che sia una illusione poterla scardinare in radice.
Dobbiamo dunque favorire la crescita di modelli rinnovati di famiglia: famiglie più consapevoli di sé, più rispettose del legame con l’ambiente circostante, più attente alla qualità dei rapporti interni, più interessate e capaci di vivere con altre famiglie. Credo che possiamo dire: è vero che da una parte c’è meno famiglia, in senso quantitativo, ma dall’altra vi è più famiglia, in senso qualitativo, c’è bisogno di più famiglia. Del resto nessuna altra via è stata trovata per la piena umanizzazione di coloro che nascono alla vita. La sua unicità, segnata anche da limiti e difetti, la rende un incredibile e insostituibile “patrimonio dell’umanità.”
E mi permetto di dire che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore questo mistero straordinario del matrimonio e della famiglia per poterlo riannunciare, per poterlo ripresentare come il vero motore della storia umana.
È la Scrittura che così ce la consegna: All’inizio del Libro della Genesi, Dio affida un duplice compito all’alleanza tra l’uomo e la donna: la generazione della vita (e quindi di tutta la storia) e l’attenzione per la creazione. Il tempo e lo spazio sono dati non a un singolo uomo ma a una coppia che sperimenta la vocazione all’amore in forma attraente, feconda e responsabile.
Negli ultimi anni, Papa Francesco ci ha ricordato più volte che la famiglia è la forza trainante della storia e la speranza per il mondo; è il luogo in cui si scopre e si impara a essere veramente umani, cioè ad essere amati e quindi ad amare, a immagine di Dio.
Lavorare al servizio della famiglia e della vita di conseguenza significa aiutare ogni coppia e tutta la società a riconoscere il valore di questo legame, inestimabile per entrambi, per la loro protezione e mutua edificazione.
Con l’Esortazione Apostolica Postsinodale, Amoris Laetitia, Papa Francesco, raccogliendo il frutto di un lungo e articolato itinerario ecclesiale (credo che nessun documento papale abbia avuto una gestazione così ampia e articolata), propone autorevolmente all’intera Chiesa Cattolica l’orizzonte nel quale siamo chiamati a “prenderci cura delle famiglie.”
Nel testo emerge il nuovo rapporto della Chiesa con le famiglie di oggi, con la loro vita concreta, con le “gioie e le fatiche, le tensioni e il riposo, le sofferenze e le liberazioni, le soddisfazioni e le ricerche, i fastidi e i piaceri” delle famiglie di oggi (cfr. AL 96). Si sente l’eco del notissimo incipit della Gaudium et Spes. E Papa Francesco fa tesoro altresì della tradizione magisteriale di questi ultimi cinquanta anni, che ha vissuto come non mai un’attenzione verso le famiglie nella consapevolezza delle profonde trasformazioni avvenute in questo versante della storia, di cui questo nostro Istituto rappresenta una punta di alto valore.
C’è nel testo del Papa un afflato pastorale che spinge ad uno sguardo di simpatia verso le famiglie per aiutarle a vivere nella gioia la loro vocazione e la loro missione nella Chiesa e nella società. Per questo, il Papa chiaramente afferma che: “in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a porre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza” (AL 307). E chiede un rinnovato impegno per incontrare le famiglie di oggi nella concretezza della loro vita, per far proprie le fatiche e le speranze delle famiglie di questo mondo, in questo tempo. L’Esortazione Apostolica, impregnata di questa amicizia appassionata, è come una lunga meditazione sugli aspetti della vita famigliare, quelli più arricchenti come quelli più critici.
La scelta di Papa Francesco di istituire un nuovo dicastero per i laici, la famiglia e la vita, indica la ferma convinzione del Papa di voler collocare il tema della vita all’interno dell’ambito familiare, al cuore dell’alleanza feconda tra l’uomo e la donna. La vita infatti non è mai astratta, ma va sempre colta nella trama delle relazioni che la genera, la cresce e la sostiene.
Una rinnovata sapienza della vita
Una seconda questione mi pare importante sottolineare. Oggi la questione della vita, collocata nella sua dimensione familiare e storica, chiede di essere indagata, compresa, accompagnata con una cura più grande. Io vi sono grato per tutto il lavoro che fate quotidianamente a favore delle famiglie, per le grandi battaglie contro la piaga dell’aborto, per l’accoglienza carica di affetto e di cura per le donne che vivono come una tragedia una gravidanza. Io sono ammirato per la vostra dedizione incondizionata e per la passione infinita che mettete in ogni incontro e attività. Questi decenni di attività sono un tesoro prezioso che rende l’umanità più ricca di vita e di amore. Oggi però tutto ciò rischia di non essere sufficiente: la sfida culturale posta è più complessa e non possiamo non affrontarla.
Il Papa, riformando l’Accademia della Vita che presiedo, ci sollecita a un rinnovamento nella duplice logica dell’allargamento e dell’approfondimento. La novità non sta certamente in un cambiamento dell’oggetto: la dottrina cattolica, la sapienza evangelica sull’immenso dono della vita umana, deve continuare ad ispirare in profondità il nostro impegno, ad illuminare tutti gli aspetti dell’umana esperienza e della cultura della vita. Ma la buona notizia del Vangelo sulla vita umana chiede di essere offerta come una fonte di ispirazione e come un tema di dialogo culturale, politico e sociale, anche e soprattutto con chi non la pensa esattamente come noi ma, come noi, ha a cuore la vita e la società umana.
I luoghi del confronto e del dialogo con le diverse culture vanno perciò ancora più generosamente e cordialmente abitati, con lo spirito dell’impegno per una causa comune: che è la causa dell’uomo che riguarda tutti. L’odierna difficoltà di orientamento che tutti sperimentiamo, a motivo della rapida evoluzione delle conoscenze e delle tecniche che incidono sugli aspetti fondamentali della vita umana e del pianeta stesso, ci impone di non limitarci a ripetere meccanicamente astratte formule dottrinali e di principio, ma ci sollecita ad elaborare una sapienza del mistero della vita all’altezza della vita effettivamente vissuta. L’impegno a non sottrarsi alle sfide poste dall’odierno conflitto delle interpretazioni, è una precisa responsabilità di ognuno, alla quale i credenti non possono certamente sottrarsi. Ciò deve essere fatto con rinnovata intuizione, profonda saggezza e uno sguardo spirituale al mondo contemporaneo, che, come ogni altra epoca della storia, offre contemporaneamente all’umanità grandi opportunità e presenta limiti pericolosi. Siamo chiamati a riconoscere e benedire le prime pur essendo vigili nei confronti di questi ultimi e contrastandoli.
La via della prossimità responsabile
Gli uomini e le donne delle quali ci sentiamo impegnati a prenderci cura, da che mondo e mondo, sono creature mortali. E da questo non le guariremo. Eppure, nulla è più universalmente qualificante e commovente della nostra quotidiana lotta contro i segni dolorosi di questa fragilità. Noi lottiamo strenuamente perché non sia l’avvilimento della morte a decidere il valore della vita. Lottiamo, perché non sia una volontà egoista o segnata dalla tragicità dei fatti a determinare una nascita, né una malattia a decidere l’utilità di una vita, il valore di una persona, la verità degli affetti. Noi accettiamo la nostra condizione mortale. Resistiamo però all’illusione delirante di poter cancellare il mistero dell’esistenza umana, con i suoi dolorosi segni di contraddizione. Il lavoro della cura è il nostro impegno a rendere umana questa accettazione, impedendole di diventare complicità. Insomma, noi ci rifiutiamo di fare il lavoro della morte: anche solo simbolicamente. Prendersi cura di una madre, di un padre, di un bimbo, di un anziano, significa aiutare ognuno ad accettare tutta la vita propria e altrui proprio nel suo limite invalicabile: con tutta la delicatezza dell’amore, con tutto il rispetto per la persona, con tutta la forza della dedizione, di cui saremo capaci.
Cari amici, è questa la sfida – difficilissima e umanissima – che deve accomunarci. L’accompagnamento ad accogliere la necessità del vivere umanamente anche le fatiche, senza perdere l’amore che lotta contro il suo avvilimento, è l’obiettivo della “prossimità responsabile” alla quale tutti, come essere umani, siamo chiamati e che noi credenti, a immagine di Gesù, proclamiamo profeticamente. L’intera comunità deve esserne coinvolta. Non staremo a guardare la morte che fa il suo lavoro, senza fare nulla. Ma non faremo il lavoro della morte, che ci libera dal disagio, come fosse un atto d’amore. L’amore per la vita nella quale amiamo e siamo amati non è più solo nostro: è di tutti coloro con i quali è stato condiviso. E così deve essere, sino alla fine.
Arcivescovo Vincenzo Paglia
Presidente della Pontificia Accademia per la Vita