Vita o morte: quale diritto?
Di Enrichetta Tamburrino (Fonte www.snadir.it).
In questo articolo vorrei offrire una breve riflessione dal punto di vista etico sulla tematica dell’eutanasia spesso considerata dai più come una buona pratica di supporto per l’essere umano che in fase terminale decide di non voler più vivere. Partiamo dalla definizione etimologica di questo termine che deriva dal greco eu (buono) e thanathos (morte) e significa “buona morte”. Nella mentalità comune per eutanasia si intende un’azione o un’omissione che per sua natura procura la morte con lo scopo di eliminare ogni dolore. Quando si parla di azione ci si riferisce alla somministrazione di sostanze che provocano la morte e per omissione si fa riferimento alle mancate terapie normali come il nutrimento, l’idratazione, la respirazione ecc. Non è sempre facile, però, comprendere quando le cure offerte al malato sono sproporzionate e per questo diventano un accanimento terapeutico. In questi casi, allora, non si può parlare di eutanasia perché i trattamenti che si omettono non sono più utili al malato.
Quando si parla della “buona morte” il più delle volte si fa appello al fatto che la persona ha il diritto di libertà e autonomia e che perciò può disporre in modo assoluto della propria vita oltre al fatto di poter arrivare, in situazioni estreme di malattia e sofferenza, ad essere persuasa dell’insopportabilità e inutilità del dolore che arriva a rendere la vita priva di senso e di valore divenendo per questo indegna di essere vissuta. Ma la vita non è mai indegna di essere vissuta perché la dignità fa parte della persona per il fatto stesso di esistere. La persona che richiede l’eutanasia si trova in una situazione in cui la sua stessa volontà è gravemente compromessa; a volte la sofferenza è confusa con il desiderio di morire oppure ci si convince di essere un peso per la propria famiglia e per questo si richiede la morte. La sofferenza offusca la psiche e perciò non può ritenersi del tutto lucida e libera la volontà di morire.
L’eutanasia non può mai considerasi lecita neanche come gesto di pietà o per esplicita richiesta perché, come riporta Ramon Lucas Lucas nel suo libro “Bioetica per tutti” a pag 178:” …si tratta della soppressione di un essere umano, della violazione del principio della difesa della vita. Niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile e agonizzante. Nessuno può inoltre richiedere questo gesto omicida per se stesso o per altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può imporlo o permetterlo. Si tratta di una violazione della dignità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l’umanità. Anche quando praticata per sentimento di pietà, l’eutanasia è illecita. Mostruosa appare la figura di una amore che uccide, di una compassione che cancella colui del quale non può sopportare il dolore, di una filantropia che si intende come liberazione della vita di un altro perché diventata un peso”. La vita, al di là di ogni giudizio etico, è un bene troppo prezioso per non essere difeso e in quanto tale diventa involabile e intoccabile. Mi piace concludere con le parole del Santo Pontefice Giovanni Paolo II che in EV, Introduzione, n.2 dice: “Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario”.