Buenos Aires e Roma. Per Francesco sono le diocesi modello
di Sandro Magister. Fonte: chiesa.espresso.repubblica.it
Nell’una e nell’altra il papa ha fatto sapere come vuole che sia messo in pratica il capitolo ottavo di “Amoris laetitia”, quello della comunione ai divorziati risposati. Suoi portaparola approvati: i vescovi argentini e il suo cardinale vicario
ROMA, 4 ottobre 2016 – Ha fatto grande rumore in tutto il mondo la lettera di encomio scritta da papa Francesco ai vescovi argentini della regione di Buenos Aires, elogiati per come hanno saputo dare la giusta interpretazione di “Amoris laetitia” – cioè quella dello stesso Francesco, l’unica autentica perché, dice, “non ce ne sono altre“ – sul punto cruciale della comunione ai divorziati risposati:
Intercambio de cartas sobre los “Criterios básicos para la aplicación del capítulo 8 de Amoris laetitia”. La respuesta de Papa Francisco
Ma, propriamente, non è ancora chiaro che valore abbia il testo dei vescovi argentini. È firmato genericamente “Los Obispos de la Región” e non compare in nessun organo ufficiale delle loro diocesi. È stato inizialmente distribuito al clero bonaerense – da cui è trapelato – e solo in un secondo tempo è apparso sull’agenzia on line AICA della conferenza episcopale argentina, con l’avvertenza che “ogni vescovo nella sua diocesi ha di fatto l’autorità per precisarlo, ampliarlo o chiosarlo”.
Intanto però, anche a Roma, nella diocesi di cui Francesco è vescovo, delle linee guida ufficialissime su come interpretare e applicare “Amoris laetitia” ci sono. Sono state rese pubbliche dal cardinale vicario del papa Agostino Vallini, che ne ha dato lettura solenne il 19 settembre nella cattedrale di San Giovanni in Laterano.
Non c’è stata in questo caso, che si sappia, la lettera d’encomio del papa. Ma è impensabile che il cardinale vicario della diocesi di Roma abbia ufficializzato queste linee guida senza che il titolare supremo della diocesi le abbia prima lette e approvate.
Oggi sappiamo dunque con certezza qual è l’interpretazione di “Amoris laetitia” che lo stesso Francesco autorizza nella sua diocesi.
È appunto quella che si legge nelle 17 pagine del testo firmato dal cardinale Vallini, integralmente pubblicato sul sito ufficiale del vicariato di Roma:
“La letizia dell’amore”: il cammino delle famiglie a Roma
Sono linee guida che ripercorrono i principali passaggi dell’esortazione postsinodale.
Ma è soprattutto sul fatidico capitolo ottavo che si dilungano, quello che riguarda i divorziati risposati “legati da un precedente vincolo sacramentale”.
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La prima indicazione che il cardinale vicario Vallini dà è di “mettere a loro disposizione un servizio d’informazione e di consiglio in vista di una verifica della validità del matrimonio”, avvalendosi delle nuove e più rapide procedure che il papa ha introdotto nei processi canonici di nullità.
Ma se “la via processuale non è percorribile, perché il matrimonio è stato celebrato validamente ed è naufragato per altre ragioni, dunque la nullità matrimoniale non può essere né dimostrata, né dichiarata”, ecco aprirsi i percorsi tratteggiati da “Amoris laetitia”.
Il primo passo da compiere – dice il cardinale – è “un lungo ‘accompagnamento’ nella linea del principio morale del primato della persona sulla legge”.
Dopo di che Vallini prosegue testualmente così, nei punti quinto e sesto del capitolo quarto della sua relazione:
“Il passo successivo è un ‘responsabile discernimento personale e pastorale’ (AL, 300). Per esemplificare: accompagnare con colloqui periodici, verificare se matura la coscienza di ‘riflessione e di pentimento’, l’apertura sincera del cuore nel riconoscere le proprie responsabilità personali, il desiderio di ricerca della volontà di Dio e di maturare in essa.
“Qui ogni sacerdote ha un compito importantissimo e assai delicato da svolgere, evitando il ‘rischio di messaggi sbagliati’, di rigidità o di lassismo, per concorrere alla formazione di una coscienza di vera conversione e ‘senza mai rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio’ (AL, 307), secondo il criterio del bene possibile.
“Questo discernimento pastorale delle singole persone è un aspetto molto delicato e deve tener conto del ‘grado di responsabilità’ che non è uguale in tutti i casi, del peso dei ‘condizionamenti o dei fattori attenuanti’, per cui è possibile che, dentro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o non lo sia in modo pieno – si possa trovare un percorso per crescere nella vita cristiana, ‘ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa’ (AL, 305).
“Il testo dell’esortazione apostolica non va oltre, ma nella nota 351 si legge: ‘In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti’. Il papa usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni [la sottolineatura è nel testo della relazione – ndr]. Papa Francesco sviluppa il magistero precedente nella linea dell’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento, e non della discontinuità e della rottura. Egli afferma che dobbiamo percorrere la ‘via caritatis’ di accogliere i penitenti, ascoltarli attentamente, mostrare loro il volto materno della Chiesa, invitarli a seguire il cammino di Gesù, far maturare la retta intenzione di aprirsi al Vangelo, e ciò dobbiamo fare avendo attenzione alle circostanze delle singole persone, alla loro coscienza, senza compromettere la verità e la prudenza che aiuteranno a trovare la giusta via.
“È importantissimo stabilire con tutte queste persone e coppie una ‘buona relazione pastorale’. Vale a dire, dobbiamo accoglierle con calore, invitarle ad aprirsi a partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, ai gruppi di famiglie, a svolgere qualche servizio, es. caritativo o liturgico (coro, preghiera dei fedeli, processione offertoriale). Per sviluppare questi processi è quanto mai preziosa la presenza attiva di coppie di operatori pastorali e gioverà molto anche il clima della comunità. Queste persone – dice il papa – “non devono sentirsi scomunicate, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa” (AL, 299).
“Non si tratta di arrivare necessariamente ai sacramenti, ma di orientarle a vivere forme di integrazione alla vita ecclesiale. Ma quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, vale a dire quando il loro cammino di fede è stato lungo, sincero e progressivo, si proponga di vivere in continenza; se poi questa scelta è difficile da praticare per la stabilità della coppia, ‘Amoris laetitia’ non esclude la possibilità di accedere alla penitenza e all’eucarestia. Ciò significa una qualche apertura, come nel caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria; ma non invece nel caso in cui, ad esempio, viene ostentata la propria condizione come se facesse parte dell’ideale cristiano, ecc.
“Come dobbiamo intendere questa apertura? Certamente non nel senso di un accesso indiscriminato ai sacramenti, come talvolta avviene, ma di un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso. Chi può decidere? Dal tenore del testo e dalla ‘mens’ del suo Autore non mi pare che vi sia altra soluzione che quella del foro interno. Infatti il foro interno è la via favorevole per aprire il cuore alle confidenze più intime, e se si è stabilito nel tempo un rapporto di fiducia con un confessore o con una guida spirituale, è possibile iniziare e sviluppare con lui un itinerario di conversione lungo, paziente, fatto di piccoli passi e di verifiche progressive.
“Dunque, non può essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza, dopo tanta riflessione e preghiera, a doversi assumere la responsabilità davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti avvenga in maniera riservata. In questi casi non termina il cammino di discernimento (AL, 303: ‘discernimento dinamico’) al fine di raggiungere nuove tappe verso l’ideale cristiano pieno”.
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“Una qualche apertura” dunque c’è in “Amoris laetitia” rispetto al magistero precedente, sostiene il cardinale vicario con l’evidente assenso del suo diretto superiore.
Non si tratta però – egli fa notare – di un’apertura indiscriminata.
Riguardo all’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati “il papa usa il condizionale” – sottolinea il cardinale – perché esso diventa “fattibile” solo in casi rari e ben ponderati. Cioè solo dopo “un cammino di fede lungo, sincero e progressivo” che arrivi al proposito della coppia divorziata e risposata di “vivere in continenza”.
Se poi i due cominciano a vivere effettivamente come fratello e sorella, nulla cambia rispetto alla “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II, che a questa condizione già ammetteva la comunione sacramentale.
Ma se invece la continenza si rivela “difficile da praticare per la stabilità della coppia”?
È qui che interviene la novità introdotta da papa Francesco, il quale anche in questo caso – fa notare il cardinale vicario – “non esclude la possibilità di accedere alla penitenza e all’eucarestia”.
Di nuovo, però, non in forma indiscriminata. Ma solo quando il confessore, esaminato a fondo il singolo caso, la autorizza. Scrive infatti Vallini rimandando al pensiero del papa: “Dal tenore del testo e dalla ‘mens’ del suo Autore non mi pare che vi sia altra soluzione che quella del foro interno”.
In altre parole:
“Non può essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza, dopo tanta riflessione e preghiera, a doversi assumere la responsabilità davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti avvenga in maniera riservata”.
Fermo restando che nemmeno in questi casi termina “il cammino di discernimento”, che deve anzi proseguire al fine di “raggiungere nuove tappe verso l’ideale cristiano pieno”.
Non stupisce dunque che, all’udire queste indicazioni del cardinale vicario, alcuni preti della diocesi di Roma abbiano lamentato che fossero “troppo restrittive”.
Perché effettivamente il cardinale ha sottoposto a tali e tante condizioni il “sì” alla comunione per i divorziati risposati da renderlo applicabile solo in rarissimi casi, oltre a quello del “vivere in continenza”.
Con in più il monito che l’eventuale autorizzazione deve essere data solo “in foro interno” e che l’accesso ai sacramenti deve avvenire “in maniera riservata”.
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Da tutto ciò si possono ricavare due osservazioni.
La prima è che papa Francesco ha dato finora libero corso non a una ma a due interpretazioni di “Amoris laetitia” approvate da lui personalmente: quella dei vescovi argentini della regione di Buenos Aires e quella del suo vicario per la diocesi di Roma.
Quella argentina facilita di più l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, mentre quella romana molto meno.
Se ne può quindi dedurre che per papa Francesco l’interpretazione di “Amoris laetitia” esposta dal cardinale Vallini con tutti i crismi dell’ufficialità sia la soglia minima sotto la quale non si può scendere, a meno di tradire la sua volontà.
Mentre quella argentina, più “aperta”, è la soluzione a lui più congeniale. Tant’è vero che l’ha premiata con una lettera di plauso, nonostante si tratti solo di una traccia per ulteriori integrazioni e applicazioni su scala diocesana, anzi, forse anche per questo suo titolo di merito.
La seconda osservazione è che i fatti sono spesso più forti delle parole. E che quindi tutte le condizioni e le precauzioni richiamate ad esempio dal cardinale Vallini possono essere travolte – e in realtà lo sono già in molti luoghi – da comportamenti pratici che vanno ben al di là di esse.
Una volta che “Amoris laetitia” ha aperto il varco, infatti, è difficile che la comunione ai divorziati risposati resti confinata al “foro interno” e avvenga “in maniera riservata”.
Sull’autorevole rivista “Il Regno” il presidente dei teologi moralisti italiani Basilio Petrà ha addirittura già teorizzato come “non necessario” l’affidarsi al sacerdote e al foro interno sacramentale, cioè alla confessione, per “discernere” se un divorziato e risposato può fare la comunione:
“Amoris laetitia”. Un passo avanti nella Tradizione
Ha scritto Petrà:
“Il fedele illuminato potrebbe giungere alla decisione che nel suo caso non ci sia la necessità della confessione”.
E ha spiegato:
“È [infatti] del tutto possibile che una persona non abbia l’adeguata consapevolezza morale e/o non abbia libertà di agire diversamente e che, pur facendo qualcosa oggettivamente considerato grave, non compia un peccato grave in senso morale e dunque non abbia il dovere di confessarsi per accedere all’eucaristia. ‘Amoris laetitia’ al n. 301 allude chiaramente a questa dottrina”.
Come dire: libero ciascuno di fare da sé.