Ragioni scientifiche e provate per la Buona Scuola?

Una riflessione breve e globale sull’educazione sessuale del gender nelle scuole…

di Rev.do Don Francesco Giordano

In riferimento a quanto si legge sulla convocazione in audizione di Pro-Vita Onlus sull’educazione di genere del 15 settembre scorso a Roma, presso la Commissione Cultura della Camera dei Deputati, non potevo che riflettere su un caso simile e molto recente accaduto in Australia. Lì il clamore intorno ai materiali didattici per i bambini tra i 7 e 8 anni prodotti dalla SSCA (Safe Schools Coalition Australia, una rete di organizzazioni che lavorano con le scuole per creare ambienti più inclusivi per persone con tendenze omosessuali) ha dato un forte colpo al movimento LGBT che fa pressioni per dar avvio alle unioni civili.

Questi materiali didattici dovrebbero fermare il bullismo verso studenti omosessuali e transessuali, ma in realtà vanno ben oltre perché coinvolgono tutti gli studenti su argomenti sensibili, tra cui la morale sessuale. Centinaia di scuole, per lo più gestite dal governo, hanno aderito. Dopo le forti proteste da parte di genitori, gruppi religiosi e politici, il governo federale è intervenuto e ha costretto la SSCA ad apportare cambiamenti significativi.

Tuttavia, lo Stato di Victoria ha deciso di rinunciare al finanziamento federale e mantenere il programma originale. Il suo gruppo “Scuole Sicure,” con sede a La Trobe University, si è separato dalla coalizione nazionale e il governo regionale prevede la realizzazione del programma di studi in tutte le sue scuole.

Forse perché gli avversari vengono dipinti come omofobi e di destra, non c’è stata alcuna valutazione complessiva del programma. Il governo federale ha incaricato Bill Louden, professore presso la University of Western Australia, di analizzare tale programma, ma avendo a disposizione solo due settimane di tempo.

Ora, però, un esperto australiano in Diritto di Famiglia, Patrick Parkinson, professore presso l’Università di Sydney, è entrato nella discussione. Il suo commento, pubblicato su internet durante il fine settimana, è caustico.

“Accademicamente –  dice Parkinson –  il programma ‘Scuole Sicure’ è fatto così male che si presenta come un problema di reputazione per la La Trobe University.” Il Professore scrive: “C’è sicuramente un posto per un programma anti-bullismo…ma questo programma va bene oltre i limiti della decenza.”

Il Professor Parkinson avanza alcune serie riserve. Per esempio, il programma inventa le statistiche circa la prevalenza di omosessualità e transgenderismo. Esso sostiene che il 10% delle persone sono attratte dallo stesso sesso, anche se solo pochi anni prima ci sono state statistiche nella medesima università che confermavano solo l’1%.

Oltre il fatto che queste statistiche sono ferme agli anni ‘80, affermare che l’orientamento sessuale sia un fattore fisso e statico può essere pericoloso. La maggior parte degli adolescenti attratti dallo stesso sesso non aspirano a vivere come gli omosessuali. Quindi, insistere sul fatto che debbono vivere secondo uno stile di vita LGBT, senza mai avere figli propri, li potrebbe portare alla disperazione. Invece, essi dovrebbero essere certi che si tratta di un aspetto transitorio che può verificarsi nello sviluppo psico-sessuale dell’adolescente che può o non può dire nulla su ciò che la persona sarà da adulto.

Questo potrebbe essere un messaggio che rischia di prevenire la depressione e il pensiero suicida, insiste il Prof. Parkinson. Al contrario, i materiali didattici che si fondano sull’idea che l’orientamento sessuale emerge nella prima adolescenza e rimane fisso, in modo che sia ragionevole per i giovani adolescenti di identificarsi come “gay” o “lesbica,” come se fosse un’identità stabile, dovrebbero ora essere considerati come non-scientifici ed irresponsabili.

Che cosa succede se uno studente sta pensando di cambiare la propria identità di genere? Sorprendentemente, in questo documento non vi è alcun riferimento alla necessità di un qualsiasi consiglio da parte di uno psicologo, medico o psichiatra, e tanto meno di un esperto del campo. Non vi è alcun obbligo di coinvolgere i genitori. Ma le linee guida internazionali insistono sulla necessità di una grande cautela e una gestione clinica attenta ed esperta. Il programma in Australia sta gettando al vento ogni cautela.

Cosa c’è dietro la mancanza di buon senso? Un certo numero di critici ha rilevato una trama marxista tesa a catturare il cuore dei bambini in età scolare. Il direttore e co-fondatore del programma nello Stato di Victoria, Roz Ward, è un professore presso La Trobe University ed è un marxista. Ha detto in una conferenza l’anno scorso, per esempio, che “il marxismo offre sia la speranza e la strategia necessaria per creare un mondo in cui la sessualità umana (di genere e come ci relazioniamo con i nostri corpi) possa sbocciare in straordinariamente nuovi e sorprendenti modi che possiamo solo provare ad immaginare oggi.” Così l’influenza marxista può sembrare allettante, ma Parkinson preferisce descrivere l’ideologia del movimento “Scuole Sicure” come una religione, un po’ come Scientology, con una propria lingua e rituali.

La differenziazione fatta tra sesso e genere, e l’idea che il genere fluido può essere costruito socialmente, sono al centro del programma “Scuole Sicure.” Questo è ormai un sistema di teorie diffusissimo, come sappiamo bene. Questo sistema di convinzioni è profondamente sostenuto da alcuni, e ha molte caratteristiche che lo fanno simile a una dottrina religiosa. Però non è una fede religiosa come noi Cattolici possiamo avere. No. Non c’è uno scambio tra la fede e la ragione in questo contesto. C’è pura ideologia che è cieca alla verità e che cerca di cambiare la realtà in forza della propria volontà. Il volontarismo filosofico alla base di tale pensiero si dimostra nel positivismo giuridico che impera oggi. È ben noto che la legge naturale — e la giustizia legata ad essa — non sta più alla base delle leggi prodotte oggi. Perciò, non ci possiamo stupire se le statistiche siano così false. Perché non apriamo gli occhi alla realtà che le “famiglie” lontane dal modello tradizionale non hanno degli effetti positivi per i bambini? Perché insistere a creare una società di persone fragili e deboli perché incerte delle loro origini?

Più ci allontaniamo dalla vera natura — come avviene spesso in questa società “virtuale” — più ci troviamo con delle persone che non chiedono quale sia la causa di quello che vedono. Se i bambini oggi non sanno nemmeno da dove vengono le uova o il latte che mangiano e bevono, allora faranno più difficoltà a pensare alle cause della propria vita. Una simile società non si interroga su alcuna causa, specialmente su Dio. Di conseguenza, se non conosce le sue cause — le sue origini — non conoscerà nemmeno il suo fine. Ecco perché c’è così tanto disorientamento oggi, e queste proposte educative certamente non aiutano ad orientarci.

In tale contesto contro natura, vogliono farci credere che non vi è alcuna differenza tra genitori eterosessuali e genitori omosessuali. Politici, giornalisti, accademici, governi e tribunali sembrano aver raggiunto un consenso sulla questione. Mettere in discussione questa ortodossia procura accuse di parzialità irrazionale e l’omofobia.

Questa convinzione ha messo radici profonde nel mondo accademico. Uno studio recente ha concluso che “c’è un chiaro consenso nella letteratura delle scienze sociali” che i bambini con genitori dello stesso sesso se la cavano altrettanto bene,  se  non addirittura meglio! Susan Golombok, dell’Università di Cambridge, una delle principali ricercatrici in studi sulla famiglia, ha detto senza mezzi termini l’anno scorso che “gran parte di questo dibattito è stato fondato su miti e false ipotesi circa le conseguenze deleterie che le nuove forme di famiglia hanno per i bambini che vi crescono, piuttosto che i risultati della ricerca empirica.”

Tuttavia, Walter R. Schumm, della Kansas State University, insiste sul fatto che la questione “nessuna differenza” è ben lungi dall’essere risolta. Come documenta nel suo articolo di 120 pagine nel più recente numero della rivista Psychological Reports, la maggior parte degli studi sono imperfetti e non conclusivi. Inoltre, ci sono molte questioni preoccupanti che non raggiungono mai i media o le Corti.

Per esempio, le relazioni omosessuali sono stabili? Si tratta di una questione fondamentale per i ricercatori di scienze sociali. Tutti sono d’accordo che i bambini progrediscono in una casa stabile e soffrono se i loro genitori si separano. “La ricerca fino ad oggi indica che i genitori omosessuali hanno relazioni meno stabili rispetto ai genitori eterosessuali,” conclude Schumm. Tuttavia riconosce che indagare questa instabilità è difficile. Un grande ostacolo da superare è la difficoltà di ottenere una quantità sufficiente di campioni casuali di coppie dello stesso sesso che sia stabile, così da essere paragonato al campione utilizzato per i risultati relativi ai figli di coppie eterosessuali che sarebbero equivalenti in termini di stabilità, istruzione, status socio-economico e numero di bambini.

Però abbiamo già degli indizi per capire dove si trova più stabilità. In primo luogo, anche il fatto di avere un bambino tende a stabilizzare una coppia eterosessuale. E poi c’è il problema ben noto della monogamia. La maggior parte dei ricercatori ritengono che molte — se non la maggior parte di — coppie omosessuali non rispettano la monogamia. In effetti, alcune coppie hanno più infedeltà dopo le loro unioni rispetto a prima. E se c’è monogamia in tali coppie? Un esperto citato da Schumm ha rilevato che neanche la monogamia è stata benefica per i bambini cresciuti in coppie omosessuali.

C’è anche una vena di amoralità nelle relazioni omosessuali, ad esempio un confronto tra 170 coppie omosessuali con 144 coppie eterosessuali ha accertato che nessuno tra i primi ritiene che le considerazioni morali dovrebbero essere un deterrente per la rottura della convivenza. Se ne deduce che l’amoralità viene trasmessa ai bambini.

Inoltre, si sostiene spesso che i figli di genitori LGBT non subiscono alcun danno. Se questo è vero, significa che i bambini cresciuti in coppie dello stesso sesso non dovrebbero avere tassi più alti di abuso di droghe, comportamenti sessuali occasionali, o sviluppo educativo, rispetto ai figli di genitori eterosessuali. Secondo vari studi, per esempio, si conclude che è possibile che i figli di genitori LGBT possono essere favoriti, soprattutto se i bambini sono LGBT stessi, come se fossero emancipati e veramente liberi.

Questi sentimenti ottimistici sono appoggiati da avvocati e giudici. Schumm sottolinea che non è saggio parlare in maniera così categorica; i ricercatori hanno appena scalfito la superficie delle complessità della genitorialità omosessuale, e stanno uscendo fuori con queste dichiarazioni. Non è scientifico; è chiaramente ideologico.

Un esame più attento delle prove, anche da parte di accademici LGBT, dimostra che vi è una certa evidenza empirica che nei figli di gay, lesbiche, o genitori bisessuali potrebbero verificarsi problemi di vita significanti delle difficoltà di adattamento psicologico (bassa autostima, difficoltà con i legami sicuri , abuso di sostanze, sessualità precoce, infezioni a trasmissione sessuale, attività criminali, difficoltà in corso di istruzione, necessità di psicoterapia, disturbi alimentari, depressione, ecc.), così come le differenze negli atteggiamenti del ruolo di genere o comportamento.

Schumm è trattenuto nella sua critica, anche se tratta davvero tantissimi aspetti della questione. Tuttavia fa notare che gli studiosi di scienze sociali hanno bisogno di porre dei limiti più espliciti ai loro studi. A volte si dovrebbe affermare che il loro lavoro ha poco valore per la politica. E così conclude con un avvertimento circa la nozione di consenso, affermando che: “tutte queste preoccupazioni riguardo le limitazioni delle tematiche LGBT nella ricerca in questa materia dovrebbero destare attenzione su ogni tentativo di raggiungere un consenso scientifico prematuramente, anche se per una causa buona e nobile. Se ci fosse qualcuno motivato ad evitare una corsa al giudizio o una corsa al consenso, quello dovrebbe essere proprio la categoria degli scienziati, tra cui gli esperti di scienze sociali.”

Dopo aver letto tali studi scientifici non ritengo opportuno che i genitori che cercano il bene dei bambini si affrettino a promuovere tali programmi educativi di “buona scuola” per i propri figli, né tanto meno per i figli altrui.

 

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